I poeti con la Posteggia - Remix

alfabeta2, 2011, aprile 1 aprile 2011 Letteratura e arti
I poeti con la Posteggia - Remix

La ‘Posteggia’, a Napoli, è quell’orchestrina ambulante che si muove da ristorante a ristorante, allietando i commensali con l’esecuzione di brani della tradizione popolare: musica da intrattenimento, insomma, un misto, un po’ inquietante, di piano bar e neomelodico tarantellato.

Perché vi sto parlando della Posteggia? Perché è da un po’ di tempo che in Italia è sempre più diffuso l’antropotipo del PcP, ovvero il Poeta con Posteggia.
Sia chiaro: non mi riferisco agli autori, e ce ne sono di eccellenti, che fanno spoken word, o spoken music. Mi tirerei la zappa sui piedi, è quello che faccio da anni anch’io, magari peggio di molti di loro.
Mi riferisco agli ormai tanti (troppi) poeti ‘tradizionali’, paladini della poesia scritta o morte, sempre pronti a bollare con un ghigno di sufficienza ogni accenno a proposito delle radici orali della poesia, dei suoi originari legami con la musica e il suono, i quali, appena messi su un palco, tirano fuori dalla manica (che bari!) il musicista di supporto, o d’intermezzo.
Proprio loro, i Silenti Custodi dell’Arte, non paghi di affollare con la loro balbuziente presenza festival e rassegne di mezz’Ytaglia, ora hanno pensato bene di portarsi dietro anche tamburi, flauti e viole d’amore!
Cosa non si fa, pur di avere un pubblico?

Voci ben informate mi hanno sussurrato addirittura di noto poeta, acerrimo sostenitore della poesia muta, anzi mutissima, praticamente omertosa, vero pasdaran dei versi a labbra cucite e acqua in bocca, che da un po’ di tempo, incongruamente, girerebbe per palchi e pedane con citarista al seguito. Sarà vero? Magari se ne sta zitto e mostra il libro con qualche arpeggio d’accompagnamento… (Che parola orribile: ‘accompagnamento’… sembra che la poesia sia una vecchia befana, un po’ ebefrenica, che debba essere accompagnata da una badante in chiave di violino).

A cosa serve, dunque, tutta codesta musica? A cosa, giacché Lorsignori sono sempre lì ad affermare che rapporto tra musica e poesia non può essercene alcuno, poiché la poesia ha già la propria di musica? Perché le SS.VV. non eseguono quella, ma chiamano in soccorso ottavini, corni, arpe e putipù? E se la poesia è arte muta, da leggere silentemente, in privato, cosa ci fanno le SS. VV. su quei palchi? A voler malignare, sembra quasi che i siparietti (o i sottofondi) musicali debbano dare un attimo di respiro ai poveri spettatori, provati dalla noia nociva e mortale dell’ascolto di fiumi di rime, a volte magari belle, ma sconsolatamente mal dette. Ovviamente tutto questo crea la notte in cui ogni vacca è nera, in cui chi davvero lavora con impegno e serietà a comporre spoken word e spoken music degni di questo nome è coperto da un mare di suoni melensi, aleatori, cacofonici. Il risultato eclatante di questa marmellata piuttosto repellente è l’apicellesco CD per le scuole, prodotto dal Malgoverno in carica, in cui degli imprudenti cantanti fanno scempio di poesie più o meno celebri, trasformandole in canzonette dalla pochezza imbarazzante.

Ma questo è il fondo. Prima c’è il territorio grigio, quello dei testi balbettati sul palco con intermezzo musicale, quello dei Poeti con la Posteggia.
Tra l’uno e l’altro sospetto che qualche nesso ci sia…

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