Gilbert Lely, Poesie scelte

28 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Gilbert Lely, <i>Poesie scelte</i>

Chi dice Lely, intende Sade. E, in effetti, il nome di Gilbert Lely, poeta e drammaturgo francese, scomparso nel 1985, è indissolubilmente legato alla sua opera di biografo ed editore del Divino Marchese. Ma se, nella vita e nell’opera di Lely, Sade ha certamente impresso un’impronta indelebile e se la monumentale Vie du Marquis de Sade è l’opera di una vita intera, d’altra parte la sua produzione poetica personale è certo di altissimo livello e costituisce, a suo modo, uno ’scandalo’, anche se prima di tutto e soprattutto letterario.
Esce in questi giorni presso Bibliopolis, casa editrice il cui prestigioso catalogo nasce in gran parte da una fruttuosa e decennale collaborazione con il napoletano Istituto di Studi Filosofici, nella neonata collana di poesia diretta da Mariano Bàino (prossime uscite, Balestrini e, finalmente, Emilio Villa), una raccolta di Poesie scelte, curata da Vincenzo Barba che di Lely ( e di Sade) è certamente lo studioso italiano maggiormente accreditato.
Come si accennava prima, la produzione poetica di Lely ha caratteristiche assolutamente singolari e, per molti versi, spiazzanti. Nata da un’ispirazione sostanzialmente classicista, precedente all’incontro di Lely con Maurice Heine, che lo introdurrà alla conoscenza di Sade, la sua poesia manterrà negli anni un’attenzione formale ossessiva, quasi maniacale, a cui si accoppierà con sempre maggiore esplicitezza un’erotizzazione dei contenuti che produrrà dei risultati assolutamente inediti. Non a caso la sua vicenda artistica si intreccerà strettamente con quella del Surrealismo, pur non condividendone affatto le premesse formali. «Era l’epoca delle esperienze verbali del dadaismo e del surrealismo - dirà di questo primo periodo Edouard Mac’Avoy - sicché il classicismo di Lely appariva del tutto controcorrente».
Eppure dal suo lavoro poetico saranno fortemente colpiti proprio molti dei maggiori esponenti del Surrealismo, come Breton e René Char, e presso le Éditions Surréalistes verrà pubblicata una delle sue prime raccolte, Je ne veux pas qu’on tue cette femme, con un frontespizio di Max Ernst, e lo stesso Lely, l’anno successivo, sarà uno degli attori che reciteranno l’Ubu enchâiné di Jarry, rappresentato in occasione dell’Esposizione Universale. Ciò non toglie che le critiche di Lely al Surrealismo, soprattutto per quanto riguarda le procedure di scrittura automatica e il modo in cui il Surrealismo utilizzò la psicanalisi, furono brucianti e a volte spietate. E così se Char e Breton non riuscirono a sfuggire al fascino del «lume scabroso» che illuminava i versi di Lely, quest’ultimo non farà sconti agli amici avanguardisti, affondando il coltello critico al cuore della loro poetica e accusandoli con esplicitezza di utilizzare male quel territorio onirico che proprio i Surrealisti avevano annesso ai luoghi dell’arte: essi, sostiene Lely, facevano confusione tra «valore clinico» e «valore poetico» dei sogni, col risultato di dare, a volte, dignità artistica a ciò che non poteva essere altro che dato di anamnesi patologica. Come nota Vincenzo Barba nella sua introduzione, non a caso Lely instaurerà col sogno un rapporto ben diverso da quello di Breton e Char, sottolineando «l’importanza della mediazione dell’io nel processo creativo».
Né gli anni successivi alla guerra serviranno a dare una collocazione più precisa a Lely nel panorama delle lettere francesi: sono gli anni in cui comincia il suo monumentale lavoro alla Vita di Sade, mentre sempre più «scabrosa» si fa l’ispirazione lirica personale, e così, nonostante qualche tentativo di timida autocensura, Lely dovrà scontrarsi con l’ostracismo della cultura ufficiale scandalizzata sia nella sua parte destra (cattolica), a causa « del suo atesimo, della sua audacia erotica, della sua difesa di Sade e della condanna dei regni di Luigi XIV e di Napoleone», che in quella sinistra, che, per parte sua, non gli perdonerà «l’individualismo, il libertinaggio del corpo e dello spirito che caratterizzavano i suoi lavori, la cui pubblicazione, a causa della concorde avversione delle diverse formazioni politiche, non poté non incontrare notevoli difficoltà».
Per occupare il posto che merita nel panorama della poesia francese Lely dovrà, dunque, attendere uno ’sdoganamento’ che arriverà infine soltant0 tra i Sessanta e i Settanta, anche grazie alla pubblicazione di una serie di sue liriche che sarà ospitata da Tel Quel, rivista di riferimento delle neoavavnguardie d’oltralpe: destino ben paradossale di un poeta che ebbe una musa tanto integralmente classica da fargli godere - prima di tutto - l’attenzione e l’affettuoso interesse delle avanguardie vecchie e nuove.

Gilbert Lely
Poesie scelte
Introduzione e note di Vincenzo Barba
Traduzioni di Mariano Bàino, Vincenzo Barba ed Elisa D’Ambrosio
Bibliopolis

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