Franco Fortini - La «dinamica dei gruppi ristretti» e il bacio mortale di Benjamin

7 febbraio 2004 08. (Musa!)
Franco Fortini - <i>La «dinamica dei gruppi ristretti» e il bacio mortale di Benjamin</i>

E’ uno dei pezzi critici di Fortini dedicati a (Musa!) e successivi alla lettera privata. Ne pubblico la parte che riguarda strettamente l’analisi del mio lavoro.

E’ uno dei pezzi critici di Fortini dedicati a (Musa!) e successivi alla lettera privata. Ne pubblico la parte che riguarda strettamente l’analisi del mio lavoro.


Quanto ai nostri autori [ndr. il Gruppo 93] e alle loro pubblicazioni: i testi sono quasi tutti squassati dallo spirito ’carnevalesco’ (nel senso che Bachtìn ha legato a questa categoria) e a quel ’tragico’ che ne è il contro-gusto romanticissimo: mescidanza di generi o, (come leggo in uno sgradevole linguaggio da seminario universitario-vescovile) loro ’creolizzazione’. Valutare è difficile e rischia di essere poco più che aria ornata ma non ci se ne può sempre esimere. Prendiamo, per esempio, le autoletture che Lello Voce ha, con ottima dizione, registrato in una cassetta. E un testo che si intitola in modo non molto originale (musa!), con tanto di parentesi e di esclamativo; ma è cosa seria e forte, che le civetterie non guastano troppo.
Fondato sul procedimento della enumerazione caotica e della iterazione ritmica da commedia dell’arte, da oratoria liturgica o vocerìa di mercato, sui procedimenti incantatorii delle litanie e la interminabiltà delle afropercussioni, il suo messaggio significante è di contrazione ed embricazione di lingue, dialetti, gerghi, citazioni, lapsus. La dominante significata è in sensi di sdegno npugnanza collera, tenebroso e sovreccitato scherno dove furore e malore civile ed erotico tendono a identificarsi, avvinti da serpenti di scoramento e cupezza, pathos della storia e vagabondaggio fra i sepolcreti delle lingue. Eppure (prevedibilmente) la capacita contestatrice, smascheratrice ed eversiva di quei versi non è maggiore né, soprattutto, diversa da quella delle invettive dei Sepokri (il che non è poi, in verità, dir poco) o dei Giambi ed epodi o di Maia o di Le ceneri di Gramsci. E non perché non si dia una. anche grandissima, poesia della politica (rectius: della storia), ma perché, tutti lo sanno (o spero), il punto archimedico di quelle poesie si nasconde nella funesta solennita del finale di eroi, vedove e muse, in Ugo; o nelle rozze e corpose apparizioni di teste mozze e di « bianchi infranti petti», in Giosue; o nella defatigante oratoria di Gabriele o nel misero crepuscolo del Testaccio intorno a defunti sempre più smarriti in Pier Paolo.
E dalla audiocassetta si esce arricchiti bensì di un senso poeticamente concreto, che è senso di reale impotenza, infusa da quella gesticolazione teatrale fra spettri fetidi. Un personaggio si costituisce, anche nel senso questurino della parola, con una sua ostentata e sinistra guapperia prepotente e suicida. Non sarebbe davvero la prima volta che un’opera di poesia contraddice la poetica, il programma, le pretese. Si ascolti dunque la voce di Voce e non si leggano i suoi interventi.

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