Fortini, o: dove un altro mondo è possibile

20 novembre 2003 Letteratura e arti
Fortini, o: dove un altro mondo è possibile

Mi ricapitano tra le mani due libretti della Collezione bianca Einaudi. Sono entrambi di Franco Fortini: il suo ultimo, Composita solvantur, e il suo primo postumo, Poesie inedite. Li sfoglio e leggo: «Che queste parole siano scritte è necessario / Che l’ora di mezzanotte dal campanile / Batta nella nebbia fino alla pagina fino / Al cervello dell’uomo seduto è necessario / E’ necessario che nessuno si addormenti». E inizio a risentire, dopo tanto tempo, quello strano sapore di quasi profezia che hanno le parole dei poeti, grazie all’ambiguità duttile e ricchissima che le apparenta alle sentenze del I - Ching. Leggo ancora: «Lontano lontano si fanno la guerra / Il sangue degli altri si sparge per terra. // Io questa mattina mi sono ferito / a un gambo di rosa pungendomi un dito. // Succhiando quel dito, pensavo alla guerra. / Oh povera gente, che triste è la terra! // Non posso giovare, non posso parlare, / non posso partire per cielo o per mare. // E se anche potessi, o genti indifese, / ho l’arabo nullo! Ho scarso l’inglese! // Potrei sotto il capo dei corpi riversi / posare un mio fitto volume di versi?» E come un lampo mi attraversa tutta l’impotenza e la marginalità dell’arte che esercito, sento palpitarmi tra le mani il corpo fragilissimo ed eccessivo di quella che chiamiamo poesia. Ma poi torno al testo che leggevo in precedenza e sillabo con lui «Nulla sarà perduto ma anche se fosse / Anche se non esistesse nessuna salvezza»… Mi tornano in mente certe polemiche avute con lui, la ricchezza che me ne restava dentro, dopo. La ricchezza di una diversità che si parlava. Oggi pochi ricordano Fortini, per quanto Fortini sia ancora vivo e, per molti versi, indispensabile. Non tanto per essere con lui in accordo, o in disaccordo, quanto piuttosto per tornare ad avere qualcosa di veramente importante di cui discutere… Per ritrovare il gusto di parlare di ciò che è scomodo e per litigare, lungo due strade diverse che portano allo stesso luogo. Il luogo della giustizia, dell’intransigenza, della tolleranza, del coraggio: là, dov’è ancora il sogno di un altro mondo possibile, che attende che noi inventiamo un nuovo modo per raccontarlo.
Abbiamo dunque riservato l’oblio distratto proprio a lui, che ci incitava alla memoria? Come potremo dimenticare che l’ultimo suo verso pubblicato in vita recitava «proteggete le nostre verità»? Riparliamo di Fortini, torniamo a litigare e a dialogare con lui. O saremo definitivamente più poveri.

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