Derek Walcott

24 febbraio 2004 Interviste e dialoghi
Derek Walcott

E’ grande e grosso, Derek Walcott, e con paio da di baffi da vero Nobel. Sorriso affabile, sguardo tra il furbo e il disincantato.
E’ a Parma invitato dal Festival Verdiano, tra gli eventi collaterali. Collaterali si fa per dire, naturalmente.
Caraibico, nativo di una minuscola isoletta delle Piccole Antille, Santa Lucia (1930) è poeta, pittore, autore teatrale. Nel 1992 un gruppo di signori che da anni, insieme al Re di Svezia, premiando il gotha di scienza, arte, letteratura e politica, si affanna a far dimenticare al mondo che il proprio benefattore ha inventato la dinamite, gli ha conferito l’omonimo, celeberrimo riconoscimento per uno splendido poema di ambientazione caraibica, Omeros, epica marina di pescatori antillani con nomi mitici, Achille e Philocrete. Scrive mescolando l’inglese al patois creolo. Di premi ne ha poi collezionati a bizzeffe e sono in molti ormai a sostenere che sia lui, proprio lui, un antillano, il miglior poeta vivente di lingua inglese. Chi avesse dubbi può leggere anche Prima luce, recentemente pubblicato da Adelphi e incontrerà un verso lungo e scontroso, ma incredibilmente musicale, sfuggente, per alcuni aspetti stupefacente. Estremamente affascinante.
Di se stesso ha detto «Io sono solamente un negro rosso che ama il mare, ho avuto una buona istruzione coloniale, ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese, sono nessuno, o sono una nazione». Più che una biografia, un vero manifesto del melting pot.
All’inizio, dopo discorsi ufficiali, inviti a stabilirsi a Parma per lunghi periodi e cotillon di cortesia assortita, lui un po’ gigioneggia. Walcott, che di interviste deve aver fatto varie indigestioni, ha l’aria di uno che preferirebbe certamente incontrare un dentista piuttosto che il vostro umile cronista. E poi siamo in tanti. Pronti a sbranarci per la prima domanda, a guardarci in cagnesco nel tentativo muto di privatizzare il tempo - che già si sa sarà poco - che Walcott dedicherà a ognuno di noi. Così lui, per rimandare il momento fatale gigioneggia un po’. Una roba della serie: c’è da sentirsi viziati ad essere trattati così bene da una città italiana tanto famosa, soprattutto se si è alloggiati all’Hotel Stendhal… Quando vai via dall’Hotel è certo che scriverai meglio. Sento molto il calore di questa città, probabilmente perché è estate, ma devo dire che mi piace il temperamento italiano. Mi sono commosso ad assistere al Rigoletto, in un così bel teatro, durante il Verdi Festival. Io ho una compagnia teatrale a Trinidad e soffriamo molto perché non abbiamo una sede. L’accoglienza che ci è stata riservata dal Governo e dagli uomini d’affari di Port of Spain non è stata un’accoglienza entusiasmante. Credo sia utile dire che la mia compagnia teatrale potrebbe venire a Parma ed esservi ospitata. Io già ci fantastico sopra. Ci sarebbero grandi possibilità di scambio tra cultura italiana e caraibica, e ne sono commosso. Abbiamo molto in comune e voi avreste la stessa sensazione se veniste a Port of Spain. Anche se mi hanno detto che si tratta di una tragedia, quello che io ho provato, assistendo al Rigoletto, qui a Parma, è stata una grande gioia. Questo avviene anche nella cultura dei Caraibi: le canzoni più tristi sono quelle che hanno il ritmo più vitale… ecc.,ecc….
Ma è una tregua temporanea, la raffica di domande vere è lì che aspetta e io sono il primo ad aprire il fuoco. Parlo di Prima luce, della sua nostalgia del passato e del futuro, chiedo cosa pensa della situazione della cultura in questo mondo contemporaneo. Insomma, una roba difficile, di livello… magari, invece che di letteratura, parliamo di realtà, anche. Lui non si fa sorprendere, risponde pacato, ma forte e chiaro…
Può essere un’espressione antiquata, ma da tempo si parla del mondo come di un villaggio globale, cosa che significa che un cambiamento sulla Borsa Valori di New York ha conseguenze anche a Trinidad e questo vale anche per la cultura, anche la cultura è divenuta un villaggio globale e anche a livello culturale accade come nel caso della borsa. Ci sono degli alti e dei bassi. E così anche il clima culturale si sta universalizzando e questo costituisce certamente una minaccia per i paesi più piccoli. Si sta creando forse un Impero Culturale il cui centro è probabilmente la cultura americana e tutte le volte che si parla di Impero si parla di qualcosa che, prima o poi, ci farà soffrire e questo vale anche per un Impero Culturale. Siccome credo che il dovere di qualsiasi scrittore di qualsivoglia paese sia quello di preservare ciò che c’è di buono e di vero nel proprio paese, credo che sia dovere di un autore caraibico preservare i migliori valori della cultura caraibica.
Ho dato il la, le domande sul reale fioccano, tutti gli chiedono il suo parere sul popolo di Seattle sulla politica del G8, sulla nuova contestazione globale. All’inizio sembra non capire, o addirittura ignorare il problema. Ma non è così. Tira il fiato e non si tira indietro…
In generale io credo che i giovani abbiano sempre ragione. Diventiamo tutti vecchi e i nostri figli hanno valori nuovi che è nostro dovere comprendere. Vedono i vecchi peccati e si arrabbiano. Capisco contro cosa loro combattono. Si esprimono contro il modo di pensare dei paesi che hanno il potere nelle loro mani e ne vogliono sempre più. Ci sono sempre delle motivazioni economiche dietro, indipendentemente dalla cosa per cui si combatte. Quello che fanno coloro contro i quali i giovani si ribellano è depersonalizzare le nazioni e gli individui. Di solito, per giustificarsi, portano argomentazioni astratte e i problemi difficilmente vengono risolti dall’astrazione, piuttosto da un approccio personale, critico. Vi faccio un esempio: voi sapete dei bombardamenti americani sull’isola di Portorico. Bene, l’astrazione ultima è che gli USA affermano che questo bombardamento sia stato un modo per proteggere l’isola e questa è una contraddizione, ovviamente, ma serve per giustificare ciò che è stato fatto. In realtà un bombardamento mette in pericolo la vita e salute di tutti i cittadini… Solo per astrazione si può affermare che questo sia un bene per l’isola e quando i giovani si rendono conto che la loro personalità individuale viene minacciata da questo potere che è molto più grande di loro, allora non ci stanno più e insorgono verso questo modo di presentare la realtà così ’astratto’.
La lingua caraibica va protetta dal monolinguismo anglofono! Le culture locali vanno preservate! C’è qualcuno tra noi che prende la palla al balzo e gioca a fare il WWF dell’arte e della letteratura, o che? Una domanda trabocchetto? Ma Walcott non ci casca, sfugge alla superficializzazione con un lungo discorso. Si vede che gli costa fatica ripetere cose magari già dette, ma che gli costerebbe di più non mettere i puntini sulle i…
C’è una crisi: è quella della memoria della lingua dei colonizzatori che oggi viene usata da coloro che furono i colonizzati. Ma questa crisi è precisamente ciò che permette di creare buona letteratura. In altre parole, quello che avviene oggi è lo stesso di ciò che è già avvenuto con l’inglese e l’americano. La lingua americana è nata dal fatto che gli americani non volevano essere inglesi. E quella lingua è inglese certo, ma inglese con un accento. La stessa cosa si può dire per la lingua e la cultura ispanoamericana: oggi la letteratura spagnola vive anche in Sud America. La stessa cosa anche per il francese caraibico. Esistono autori che scrivono in francese e pensano però in francese creolo. Si hanno due lingue per sé, come nel caso di Joyce in Irlanda, è uno dei suoi temi principali, questo. Capita nell’Ulysses, dove spesso si fornisce la versione irlandese di questo o quel termine inglese. Se qualcuno avesse imposto a Dante di scrivere in latino non avremmo avuto la Divina Commedia, che, se vogliamo, è scritta in’ dialetto’. Dal punto di vista politico è possibile immaginare la scomparsa di una cultura, ma poi la cultura non è come una Sibilla e non può dire: voglio morir., Se muore, muore portando con sé un’enorme ricchezza, trasformandosi, le cose iniziano a fondersi e, grazie a questa fusione, si arricchiscono, perché lo scrittore in questo modo ha accesso a più lingue. Quest’idea è presente in tutti i miei libri. Domande come quella a cui sto rispondendo ora mi vengono poste spesso in Europa e capisco perché possa accadere così spesso qui. Ma proviamo a veder la cosa da un punto di vista ’caraibico’ e musicale. Noi, nella mia piccola isola, abbiamo quattro lingue e dunque quattro melodie. Così, svegliandosi in una piccola isola, ci si può trovare di fronte a quattro differenti melodie: francese e francese creolo, inglese e inglese creolo, quattro lingue diverse e quattro diversi vocabolari. Lo stesso si può dire di Trinidad, dove vengono utilizzati l’hindu e l’hindu di Trinidad, l’arabo e l’arabo di Trinidad, il francese e il francese di Trinidad… Insomma, sei o sette melodie, che costituiscono una ricchezza alla quale attingere ed è una ricchezza molto superiore a qualsiasi ricchezza che si potrebbe trovare in una qualsivoglia città europea. Se mi svegliassi a Londra, l’unica fonte alle quale attingere sarebbe l’inglese. Questa varietà di melodie e di vocaboli è la ragione per la quale nei Caraibi si è avuta una letteratura insieme molto giovane, ma estremamente ricca e vitale. Mi chiedete: non bisognerebbe fare qualcosa per salvare questa ricchezza dall’appiattimento? Sono io che chiedo a voi: cosa cerchiamo di salvaguardare? Una lingua? Ma tutte le lingue che si è cercato di salvare sono state corrotte. Non conosco il latino in particolare, ma amo leggere in latino. L’esempio migliore è sempre quello di utilizzare poeti. Prendiamo dunque due poeti ’italiani’, Ovidio e Dante. La lingua di Dante è inferiore a quella di Ovidio? L’arte non dipende solo dalla lingua, ma dalla forza del poeta, non si può separare la lingua della poesia dalla ’lingua del poeta’. Mi pare di poter dire che la lingua di Dante è più immediata,. Dà più spazio allo scambio comunicativo di quella di Ovidio e quindi è più corrotta, ma sarebbe stupido definire la lingua della Divina Commedia corrotta, sono sicuro che il latino di Ovidio è altrettanto aperto allo scambio comunicativo del volgare dantesco. Ma lingua di Dante sembra, ad orecchio, più colloquiale del latino ovidiano. Insomma, la lingua si comporta secondo le proprie regole e non è legata a questa o quella geografia. Tutte le volte che c’è un tentativo di preservare una lingua pura c’è spesso un grosso rischio politico, ad esempio in Galles ci sono persone che vogliono continuare a parlare il gallese, in Irlanda stanno combattendo una guerra per una lingua, ma i poeti irlandesi scrivono in inglese, la lingua, in breve, si fa strada da se stessa, attraverso le sue proprie strade. Io vorrei salvaguardare il francese creolo, però non posso farlo, non posso impedire alla lingua di mutare, sarebbe un atteggiamento fascista quello di imporre alle persone di parlare solo la propria lingua, dal punto di vista politico non si può impedire alla gente di parlare questa o quella lingua. Per concludere io amo sempre fare un esempio, utilizzando la Tempesta. Calibano, il mostro, dice a Prospero: mi puoi parlare in qualsiasi lingua, perché io in quella lingua potrei anche insultarti… Se fosse solo questo ciò di cui stiamo parlando, tutto sarebbe semplice, ma la grandezza di Shakespeare è che entrambi sono poeti, tanto Prospero, quanto Calibano, ognuno nella sua, o nelle sue, lingue.
Io mi rifaccio sotto, non gli lascio riprendere fiato e butto lì: è’ ancora possibile una poesia epica? E che forme nuove essa può assumere nel contesto contemporaneo? Cosa ne pensa l’autore di Omerus?
Ci sono stati e ci sono tentativi di scrivere un’epica moderna. Il più noto è quello di Ezra Pound, in cui non vengono utilizzate le Muse, ma l’economia ed è interessante vedere come l’epica del mondo moderno sia guidata, trainata dall’economia. I nomi di queste forme sono, però, nomi dati da determinate culture, che pensano di essere culture superiori e che di conseguenza possano essere loro ad attribuire dei nomi generali alle forme poetiche: epico, lirico. Ma non possiamo pensare che qualcosa che viene pronunciato da una tribù della Nuova Guinea sia epico, o lirico. In un’altra cultura, magari, la storia del Rigoletto potrebbe essere considerata una commedia, un’altra cultura potrebbe ridere di fronte ad una determinata situazione. Quello che domina la trama è la musica, ma quando poi leggi la trama, allora… Io so che Verdi sapeva che la trama del Rigoletto era un po’ debole e aveva bisogno perciò di una grande musica, probabilmente anche Shakespeare sapeva che la trama dell’Amleto era assurda: insomma, ammazzalo e basta! L’Otello anche: l’unica cosa che doveva dire era - io non so niente di quel fazzoletto! Quello che voglio dire è che certe etichette vengono date per osseqquio a regole esistenti in una certa cultura. Io quando penso a un poema epico penso piuttosto a Virgilio, a un eroe che aveva un compito da svolgere, ma i miei eroi pescatori, qual’era il loro compito?
Lei scrive anche per il teatro e parlando del suo teatro ha detto che quando scrive pensa al suo pubblico come a una donna grassa, nera trascurata. Cosa intendeva?
Veda, quello che ha fatto il teatro occidentale è stato schiacciare, comprimere un mucchio di persone in una piccola scatola nera, nella quale non si può parlare, non si può ridere. Ma non è sempre stato così, non sempre si è preferito imprigionare la gente alla poltrona, piuttosto che coinvolgerla. Ma è poi tutta una finzione, basata su determinate convenzioni. Dietro il palcoscenico non c’è nulla. Quando pensavo alla donna nera e brutta e grassa, pensavo a una persona comune, con responsabilità familiari, che va a teatro per lasciarsi andare e provare sensazioni nuove. Se si riesce a trasmettere sensazioni a questa donna, non letterata e non istruita, magari, ma se le si danno delle emozioni, bene è proprio quello che occorre raggiungere. Non mi interessa il critico che cerca di fare le sue spesso bislacche interpretazioni. Mi interessa quello che io sono riuscito a trasmettere a quella donna e a quelli come lei. Questo è reale….
A questo punto la platea di giornalisti è conquistata e ci scappa addirittura l’applauso. Io cerco di approfittare del momento e di piazzare lì un’altra domanda: in Italia si sa poco della poesia antillana e caraibica. Che mi risulti sono state pubblicate 2 antologie, molti anni fa, e entrambe riservate ad espressioni ispanofone. Qual è la situazione della nuova poesia nelle Antille?
Non c’è molto perché, come probabilmente sapete, non ci sono grandi case editrici. E questo significa che molti di questi autori, o devono trasferirsi all’estero per vedere le proprie opere pubblicate, o devono mandare i testi, essenzialmente a new York o a Londra, perché siano pubblicai. Lo scrittore, comunque, è un tipo solitario e così la situazione non mi preoccupa tanto per loro, mi preoccupo piuttosto dell’attore che ha bisogno di teatro, colleghi, pubblico, ecc…
Mi accorgo che in realtà Walcott non mi sta rispondendo, torna a sondare le possibilità di far ospitare la sua compagnia teatrale a Parma, fa battute. Insomma, credo sia stanco di domande. Anche lui, probabilmente, come tutti noi, preferisce le risposte. Non mi sembra educato insistere. Gli stringo la mano e infilo, quatto quatto l’uscita, mentre un tripudio di altre mani quotidiane, settimanali, mensili, si protendono verso il Nobel con copie di libri da firmare, o palmi da stringere. Lasciamo che Walcott torni al suo adorato Hotel Stendhal. Se lo è meritato, dopo tutto.

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1 Messaggio

  • Derek Walcott 4 febbraio 2010 19:05, di Livia Santini

    Salve!Vorrei utilizzare questo interessante articolo nella mia tesi ma come posso citarlo? Intervista rilasciata da Lello Voce il...? dove?mi poteta aiutare per favore?grazie, Livia

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