[Delicatessen 89] Come muore un italiano

Quotidiani E-Polis - Ed. Nazionale, 2006 14 ottobre 2006 Costume e società
[Delicatessen 89] Come muore un italiano

Chi sa se gli daranno la medaglia d’oro ad Angelo Frammartino, che era andato in guerra per ricordare a tutti, ai bambini in special modo, che esiste la pace, che la pace è fatta della stessa materia della realtà travolgente dei sogni e delle utopie, che l’unica cosa che possiamo ancora fare, in questo mondo che sa globalizzare solo le merci e la violenza, è continuare a sognarne uno di diverso. Genova o Gerusalemme fa lo stesso: le strade di tutto il mondo sono uguali, se occorre percorrerle per dire che basterebbe aprire gli occhi, fare memoria, usare ragione perché tutto ciò che ci accade intorno fosse diverso. Angelo è morto perché sognava. Che è l’unico modo dignitoso di continuare a vivere, oggi. Sognava, come quel matto di Baldoni, di cui nessuno parla più, perché in fondo poteva continuare a stare a casa sua, a fare il pubblicitario, che era il suo mestiere, invece di andare a ficcare il naso, e più o meno a gratis, in faccende che non lo riguardavano affatto. Nessuno gli darà mai una medaglia d’oro. Non si insigniscono i ficcanaso, non si premiamo i pazzi, meglio i contractors. I pazzi danno un cattivo esempio, quello che è possibile fare in modo diverso, mentre è noto che il dolore altrui va rimosso: ne va della nostra stessa felicità. Angelo è morto per questo: perché ha voluto ficcare il naso nelle tragedie altrui, farsene carico. E’ morto perché era il più realista di tutti noi ed era dove tutti noi avremmo dovuto essere. E mentre moriva ha semplicemente chiesto aiuto, un aiuto che non è mai arrivato. Ecco, guardate tutti: è così che muore un italiano.

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