[Delicatessen 78] La lingua di Ratzinger

14 ottobre 2006 Politica e movimenti
[Delicatessen 78] La lingua di Ratzinger

Ci sono tre cose che non mi sono piaciute del viaggio papale in Polonia e ad Auschwitz. La prima è la lingua scelta per i suoi discorsi. Perché mai un papa tedesco in visita in una nazione in cui la sua lingua è di gran lunga l’idioma straniero più compreso, decide di parlare in italiano? Mi pare farisaico, l’italiano (e l’Italia) con il lungo e triste contenzioso che storicamente divide tedeschi e polacchi (non solo gli ebrei polacchi, ma i polacchi in quanto tali) non c’entra nulla: ci voleva troppo coraggio per parlar tedesco? Troppa fatica per imparare un discorso in polacco? La seconda cosa che mi ha lasciato basito è stata la nonchalance con la quale ha attribuito le colpe dell’olocausto a un gruppo di delinquenti. Non è così, purtroppo. Qualsiasi manuale di storia definisce nazismo e fascismo come regimi totalitari di massa e ricordo un bell’articolo della Rossanda che faceva giustizia del luogo comune secondo cui in Italia il fascismo (leggi razziali comprese) non avesse mai avuto un seguito popolare. La cultura tedesca laica certe cose le sa bene e non manca di sottolinearle. Ma il peggio è la domanda finale, in cui il Papa, non contento del farisaismo linguistico e storico-politico, si è esibito addirittura in un vero e proprio scaricabarile teologico: si è domandato perché la voce di Dio abbia taciuto sull’orrore dei lager. Bella domanda, il problema è, però, che a fornirci la risposta cattolica a questa domanda dovrebbe essere proprio lui, il Vicario di Cristo. Chi, sennò? Io, da laico, la mia risposta ce l’avrei, ma credo che sua Santità non la apprezzerebbe.

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