[Delicatessen 112] La politica estera e il senso comune

Quotidiani E-Polis - Ed. Nazionale, 2007 13 febbraio 2007 Politica e movimenti
[Delicatessen 112] La politica estera e il senso comune

C’è qualcosa che il senso comune, quello applicato dalla gente comune, proprio non capisce. Non lo capisco io, ad esempio, e sarei disposto a scommettere che non lo capiscono neanche i parenti delle vittime del Cermis, falciate da un aereo USA che faceva toboga tra le vette, né quelli delle vittime di Ustica, che ancora aspettano una risposta che i satelliti statunitensi conoscono probabilmente sin da subito, non lo capisce la vedova di Nicola Calipari e neanche Giuliana Sgrena. Per quale ragione, una volta tanto che l’Italia alza un po’ la voce per far valere i suoi diritti e l’indipendenza della sua vita politica, una volta che richiede con forza il rispetto dei trattati mutuamente e liberamente stretti con gli Stati Uniti, tutto questo dovrebbe significare che la credibilità internazionale dell’Italia è caduta sotto i tacchi? E’ forse un danno diplomatico che una nazione sia ferma nel chiedere il rispetto dei patti a chiunque con essa li abbia sottoscritti? Io, da quell’ammuffito lettore cronico del Machiavelli che sono, prima che Fini, un accorato Maroni e un disperato La Loggia, mi facessero intravedere la verità, ero convinto dell’esatto contrario: che l’Italia avesse ripreso a fare una politica internazionale seria e dignitosa, che difendesse la sua autonomia decisionale. Ma non sono il solo ad aver preso lucciole per lanterne, persino le Eminenze dell’Avvenire si sono scandalizzate, anche se loro avevano più ragioni di me per sbagliarsi, convinte come sono che gli unici a poter ficcare il naso nelle faccende dello Stato italiano siano loro e il Papa Re.

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