Delicatessen [02] - Vergognarsi fa bene.

4 novembre 2004 Costume e società
Delicatessen [02] - Vergognarsi fa bene.

Lui si chiamava Matthew Shepard, un nome che a molti di voi non dice nulla, probabilmente. Matthew aveva 21 anni e viveva a Laramie, Stato del Wyoming. Studente universitario. Matthew era gay, omosessuale: un ’culattone’, insomma, come direbbe il Buon Ministro Tremaglia. La sera del 6 ottobre 1998 Matthew decide di fare due passi e va in un bar del circondario. Viene avvicinato da due coetanei, si allontana con loro. Viene aggredito, portato in un luogo isolato, derubato e massacrato di botte. Ma non basta, la punizione del diverso ( in slang: faggot, letteralmente: frocio) deve essere esemplare e i due aguzzini (due sani ragazzotti eterosessuali di Laramie) completano il lavoro e lasciano il corpo esanime di Matthew appiccato a una palizzata, come usava fare un tempo coi ladri di bestiame, a braccia spalancate, quasi fosse un Crocifisso. Un monito chiaro sul fatto che da quelle parti prendevano molto sul serio la virilità e anche i discorsi contro gli omosessuali che da tempo alcuni senatori repubblicani andavano tenendo qui e là per l’America: l’omosessualità è un peccato, è un male che va estirpato…
Lì, legato a quella palizzata, il ragazzo rimane per 18 ore, fin quando dei passanti lo vedono e lo soccorrono. Matthew muore in ospedale dopo pochi giorni, il 12 ottobre, per la gravità delle percosse subite. I suoi assassini vengono presi abbastanza in fretta, per fortuna, e vengono processati. Durante le udienze la linea di difesa è paradossale, quasi incredibile: i due vanno assolti perché hanno agito in preda al ’gay panic’, panico da gay.
A salvar loro la pelle sarà invece proprio la mobilitazione del movimento gay, da sempre contro la pena di morte, e i genitori di Matthew che si rifiuteranno di chiedere la sedia elettrica. Se la caveranno con l’ergastolo.
Perché parlo di Matthew a distanza di tanto tempo? Per varie ragioni: prima di tutto perché di certe cose è sempre il caso di parlare, poi perché in questi giorni Pino Quartullo e Marcello Cotugno mettono in scena a Roma la versione italiana del dramma documentario che il regista americano Moisès Kaufmann trasse dall’episodio. Ma soprattutto perché questa nostra Italia è più che mai piena di virili signori che chiamano gli omosessuali ’culattoni’, che considerano l’omosessualità un disgustoso peccato, o che fanno della durezza della propria verga (vera o virtuale che sia) un intero programma politico. E così, visto che molti di loro (anche se Padani) stanno a Roma, il consiglio è di non mancare alla prossima rappresentazione dell’opera di Kaufmann al Teatro Colosseo. Vergognarsi un po’ farà loro un gran bene.

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