Da poeta a poeta: Lello Voce dialoga con Mario Luzi

20 ottobre 2004 Interviste e dialoghi
Da poeta a poeta: Lello Voce dialoga con Mario Luzi

La necessità di assumere una posizione etica. Il bisogno di interpretare la tragicità della Storia. La voglia di trovare altri luoghi, oltre la pagina, per esprimere poesia. Su questo ed altro si confrontano due generazioni di uomini e di versi

Lello Voce: Professore, lei ultimamente ha parlato della necessità, per i poeti, di assumere una posizione etica. Da questo mi piacerebbe iniziare. Voglio dire, si parva licet, noi siamo piuttosto lontani dal punto di vista strettamente formale, non soltanto generazionale, eppure in quelle sue parole io mi sono riconosciuto immediatamente, come mi era capitato di fare, qualche tempo fa, per quelle di un autore a me più vicino, Sanguineti, durante la premiazione del Campiello. E’ come se il momento storico fosse così "catastrofico" e decisivo per quanto riguarda alcuni valori basilari e comuni, che anche le scelte formali (che poi sono sempre politiche, scegliere con che linguaggio dire le cose è prendere posizione nei confronti del reale, credo) vanno in secondo piano. C’è forse un punto d’incontro tra noi a proposito del compito che la poesia deve assumersi oggi?
Mario Luzi: La poesia di compiti ne ha tutti e nessuno. Ma mi pare sempre importante avere attenzione per tutte le cose che passano attraverso la sensiblità di chi usa la parola in modo libero e puro. In questo modo la parola assume un significato al quadrato. Penso anch’io che viviamo in un momento di grande tragicità. Tragicità che sfugge a molti, che rimangono nell’indifferenza.
Lello Voce: Non c’è da stupirsi, credo. Gli anni appena passati sono stati quelli in cui si diceva che le ideologie erano morte, mentre erano invece più vive che mai. Una, soprattutto: quella del pensiero Unico e della Ragione Economica. Quelli appena passati sono stati anni frequentati da gente che andava dicendo che la Storia è morta. Vede, io faccio l’insegnante e allora quando i miei allievi mi chiedono ragione del sangue che vedono ogni giorno in tv, di Beslan, della Palestina, o più semplicemente di Genova, insomma di tutto l’orrore che ci circonda, a me vien voglia di rispondere loro: bene ragazzi, tutto questo è quella che chiamiamo Storia. Che non era affatto morta, e che comunque oggi con tutta la sua tragicità si è rimessa in moto...
Mario Luzi: La storia in questo senso non finisce mai. E poi questo termine, Storia, che viene usato spesso per intimidire o giustificare piuttosto che per spiegare, bisognerebbe usarlo con più attenzione. Ma io credo che la cosa fondamentale per la poesia oggi sia la semplicità. Credo che intorno a noi ci sia la necessità di un vigore più semplice e più diretto. La semplicità è l’ultimo bersaglio da raggiungere e da colpire. Ultimo perché è il bersaglio supremo.
Lello Voce: Non sarà semplice, credo, essere semplici... La situazione è assolutamente complessa, di più, caotica. Il semplicismo è sempre in agguato. Ma comprendo l’essenza di quel che sostiene, mi fa venire in mente il Brecht de: La semplicità che è difficile a farsi. Ma, mi domando, la poesia ha oggi le parole semplici per raccontare questa tragedia?
Mario Luzi: la semplicità di cui parlo io bisogna trovarla nel nostro cuore. Perché il cuore è semplice,malgrés tout. Non l’abbiamo ascoltato abbastanza, assordati da altro clamore.
Lello VoceChi ci ascolta (legge) deve pensare a un ben strano compromesso (un compromesso di "resistenza") tra Avanguardia e Tradizione. Ma io a certe contrapposizioni non credo, non credo che la Tradizione abbia più funzione normativa, né che ci sia spazio per quella che una volta chiamavamo Avanguardia. Questo nostro discorrere mi pare una prova a favore del fatto che si tratta di una contrapposizione che si può dunque considerare conclusa..
Mario Luzi: E’ una ricorrenza automatica, che si ripete attraverso le generazioni e i secoli. Credo che il problema sia più capillare ormai, e che le domande cui bisogna dare risposta siano piuttosto il perché e il come.
Lello Voce: Nessun momento migliore di questo direi, per porre mano al problema. La poesia oggi vive un nuovo tempo di grande vigore. Ma magari ha bisogno di altre forme, magari non abita più nei libri. I poeti pubblicano dischi, fanno letture pubbliche, trasformano le loro poesie in video, in performance teatrali. Soprattutto, la gente sembra dare di nuovo ascolto, almeno un po’, alle parole dei poeti...
Mario Luzi: Sì, è vero, c’è questa nuova urgenza e si sta allargando. Anche qualche decina di anni fa non ci aspettavamo certo che ci sarebbe stata quella risposta dal pubblico. Parlo degli anni ’65-70. Allora, parlare di poesia e proporre una possibile soluzione sociale attraverso un linguaggio che non fosse esclusivamente politico sembrava assurdo. Oggi non più. Perché la politica nel suo procedere non ha fatto grandi conquiste né ha dato soddisfazione alle richieste dell’uomo. Per questo oggi forse si cercano risposte anche altrove. Cerchiamo aiuto per leggere il mondo altrimenti, meno convenzionalmente, più liberamente.
Lello Voce: Ma le chiedo ancora, la incalzo, allora a suo parere può esistere la poesia fuori dalla pagina?
Mario Luzi: Se la poesia è perdurare, allora ha bisogno di segni stabili, tipografici o di altro tipo che magari si sostituiranno a questi. Credo però che fuori dai documenti essa non possa esistere se non come attitudine,virtualmente.
Lello Voce: Sulla durata sono d’accordo, e ho piacere che lei sia aperto alla possibilità che i media possano mutare nel tempo. Forse ci occorre una nuova Carta Costituzionale della poesia. Mi passi la metafora, forse di cattivo gusto visti i tempi che viviamo e le nefandezze che si stanno pepetrando contro la Costituzione vera. Anche su questo - ne sono certo -lei è d’accordo con me. Quello a cui stiamo assistendo è uno scandalo bello e buono, un tragico scandalo.
Mario Luzi: Non è la prima volta che intervengo su questo tema e che espongo la mia opinione. Ma appena potrò, lo farò nuovamente anche in Parlamento. Non si può sbriciolare un aggregato così prezioso come una Costituzione, che è costata tante esperienze anche drammatiche di un paese, in quattro battute scambiate alla bar di Montecitorio o in osteria. Lo trovo un atteggiamento vergognoso. E poi io ho un’idea della nazione e dello Stato che non corrisponde certo a quella che viene avanzata. Questi squilibri credo siano davvero deleteri. Anzi, peggio, distruttivi.
(pagina a cura di Roberta Ronconi)

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