Cultura celtica

20 novembre 2003 Costume e società
Cultura celtica

Il fatto che la cultura non fosse che un inutile gadget per i fedeli del celodurismo non è novità. Soprattutto se si tratta di quella cultura che non sa apprezzare l’eleganza della canotta tesa sui bicipiti lumbard, quella degli efebici intellettuali di gauche, che non sanno parlare al poppolo, né palpeggiare (e blandire) i suoi più bassi istinti.
Treviso non fa eccezione. Anzi, qualche lustro di governo dei seguaci del Birroccio di Legnano ne ha fatto - culturalmente - un deserto. Ma c’è di peggio. E il peggio viene quando questi signori, non paghi di aver impallinato ogni sussulto d’arte e cultura, se non altro per vincere la noia che certamente deve attanagliare il personale tutto degli ormai assolutamente superflui Assessorati alla Cultura, decidono che è arrivata l’ora che la producano loro la cultura.
Ed anche in questo caso, come in quello della caccia all’immigrato leprotto (o al leprotto immigrato, che in fondo è lo stesso) Treviso è all’avanguardia. La prima mossa è stata memorabile: visto che non si sopportava più quel dandy di Goldin che con i fondi - privatissimi - della Cassamarca riempiva la città di turisti, facendo mostre di cui parlava (bene o male non mette qui conto discutere) tutta l’Italia e una buona parte d’Europa, ci ha provato Gentilini a organizzare una mostra come si deve, lui, il suo Assessore alla cultura e il responsabile delle - scusate l’ossimoro - politiche culturali e museali della Lega, un insegnante di matematica, scelto probabilmente perché gli insegnanti di matematica, pur essendo in un certo senso degli intellettuali, hanno i piedi per terra. Detto fatto: ecco in mostra i disegni del Quaderno giapponese di Van Gogh. Peccato che quelli esposti a Treviso non fossero affatto, come millantato dagli organizzatori, i disegni originali, ma solo delle mediocri riproduzioni. Scandalo e strascichi legali. Vergogna, soprattutto. Ma i Celti, si sa, hanno cuor di leone e allora rieccoli all’opera: una nuova mostra, questa volta nei locali del sempre pronto e mai finito Museo comunale. E cosa viene fuori dalle righe della presentazione? Viene fuori che un bronzetto di chiara origine etrusca, diventa, dopo qualche acrobatica equazione del nostro simpatico docente di matematica, il pezzo più prezioso tra quelli esposti, grazie agli "elementi espressivi di origine celtica" in esso presenti. Che è una bella corbelleria, anche piuttosto ideologica, direi, visto che di celtico il bronzetto non ha proprio nulla. Quisquiglie e pinzillacchere, per carità, ma sarà osare troppo chiedere loro di limitarsi alla raccolta dell’acqua del Sacro Po?

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