Cipolle e Libertà

27 dicembre 2003 Costume e società
Cipolle e Libertà

Erano, mesi, forse anni ( e comunque a me, ormai, sembrano secoli) che accendere la TV era come aprire un buco nero che dava sul nulla. Ricordate l’inizio di Neuromante di William Gibson? «Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto». Ecco, proprio così.
Ogni volta che impugnavo il telecomando, avevo la netta sensazione di essere sul punto di essere risucchiato da un vortice maligno, fatto di vuoto pressurizzato, in cui vorticavano, venendo a galla aleatoriamente, le chiappe di questa o quella miss, le menzogne telegiornalate quotidiane, tutto mescolato in una marmellata immonda, i deliri del Gran Capo Berluscone e l’eco di quelli dei suoi servi sciocchi che, travestiti da anchorman, ballerine, giornalisti, o ministri, si dannano a rifargli il verso il più docilmente possibile, elenchi di vittime di guerre travestite da pace e di paci mascherate da guerra, bugie, luoghi comuni, ovvietà, truculenze familiari, insulti, volgarità sfuse, o impacchettate da una marsina istituzionale trasformata in giullaresco costume da ’cliente’. Mi è sembrato una specie di miracolo, martedì sera, quando dalla fluorescenza catodica è venuto fuori il volto scavato di Marco Paolini, ad apertura di Report, il suo veneto un po’balbettato, intenso come una frustata, che raccontava una storia qualsiasi, quella di Gelmino, ex-contadino diventato operaio alla Riello, che narrava di un uomo apparentemente ingenuo e invece spietatamente intelligente, caustico addirittura, che ci serviva in tavola all’ora di cena la storia vera degli italiani, altro che servizi sui cani della regina d’Inghilterra e stacanovisti della meteorologia, carabinieri buoni e poliziotti innamorati in versione sequel. Gelmino, che rifiutava gli straordinari, perché il tempo libero è vita, Gelmino che dice che chiunque non sappia porsi un limite, anche se miliardario, in realtà è un "poro can", Gelmino, che sfida il padrone a colpi di cipolle: «Dica a Riello che ho ancora tante cipolle da mangiare e quindi non sarà facile piegarmi». Gelmino che, con l’essenzialità un po’ rustica di uno scacco matto contadino, ci costringeva a vedere di nuovo il confine che c’è tra il necessario e il superfluo. Per poi scoprire che Gelmino non è personaggio, che Gelmino esiste davvero, seduto di tre quarti, che guarda serio l’attore che rappresenta magistralmente la sua storia. E a contrasto il carro di Tespi di tanti nostri politici, smascherati sapientemente da Milena Gabbanelli, un parlamento di pinocchi, di privilegiati spudorati, di bambini antipatici, cuccati con le dita nella marmellata.
A farci capire che oggi, con l’aria che tira, la verità può sembrare addirittura buon senso. La realtà italiota nostra, invece, un incubo umido, meschino, di cui potersi solo vergognare . E che faremmo bene ad accontentarci - piuttosto - di Cipolle e Libertà.

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