Chi ha paura del Gruppo cattivo?

27 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Chi ha paura del <i>Gruppo</i> cattivo?

Il Gruppo 63 fu, in buona misura, una necessità, uno snodo ineludibile lungo quel percorso di continuo rinnovamento e cambiamento che sempre permette alla letteratura, epoca dopo epoca, di sopravvivere a se stessa, come serpente che cambia la pelle e, dopo aver indossato la nuova, divora la vecchia. Uno scarto indispensabile dai sentieri vieti di uno stanco neo-realismo che galleggiava sulle pallide pagine di Metello, lungo percorsi che ritrovavano un ultimo sussulto di vita nei detriti di novità gattopardescamente trascinati a riva dalla risacca di ciò che rimaneva del romanzo realista ottocentesco, uno scossone salutare che costrinse l’italica società letteraria, attardata e provinciale, a fare i conti con una contemporaneità inedita e spiazzante, nel mentre che il Gruppo la trascinava per il guinzaglio a fare una improrogabile «rivisitazione critica della modernità». Proprio alle soglie del Postmoderno. Perché, come chiosano, citando Pound, Balestrini e Giuliani nella bella introduzione al loro Gruppo 63 - L’Antologia, mandato in libreria da "testo&immagine" (pp.321, euro 20,00), «Literature is news that STAYS news» e ciò «che chiamiamo la Tradizione è la conservazione delle novità che si sono succedute nel corso dei tempi» o, per dirla con le parole di alcuni nipotini già postmoderni del Gruppo 93, la «Tradizione non è che genealogia delle Avanguardie».
Ciò che ne venne fuori, in anni in cui sembrava che per le Avanguardie non vi fosse più altro spazio che quello del Museo, fu la lucida constatazione che la «modernità si mostrava già declinante, e le esperienze dell’arte e della letteratura d’avanguardia, anziché superate, sembravano le più vitali e promettenti. Non consentivano nostalgie o facili epigonismi, incitavano i poeti, gli "espressori" li aveva chiamati Carlo Emilio Gadda, a non arrendersi all’evidenza del declino.» E certo non è poco. E certo questo vale ieri come oggi, perché, al di là di questa o quella scelta stilistico-formale, ciò che il 63 ristabilisce è un’etica del dibattito letterario, fatta di confronto serrato e critico, di tolleranza e spietatezza, di disponibilità all’ascolto e alla polemica, della consapevolezza di quanto un lavoro comune sia una ricchezza preziosa, la garanzia indispensabile per lo sviluppo di individualità mature e originali, poiché è certo che il dialogo viene prima di ogni linguaggio. Sbaglierebbe, dunque, chi si ostinasse a cercare nella storia delle Neo-Avanguardie un’unità di poetiche in luogo di quell’orizzonte comune su cui puntava l’indice l’acribia critica di Sanguineti, e questo lo dimostra in modo eccellente la crestomazia di Balestrini e Giuliani, nel suo riunire un insieme di testi nettamente più ricco e variegato di quanto già compreso nelle precedenti antologie feltrinelliane, praticamente degli instant-book concepiti e realizzati letteralmente in corso d’opera. La scelta di allargare i confini della scelta a tutto quanto fu prodotto dagli autori ascrivibili a quell’area tra il 63 e il 69, tra la nascita e il declinare di quella particolare temperie ’sperimentale’ che si chiuse con la morte di "Quindici", permette al lettore di farsi un’idea accurata e precisa di quanto varia e ricca fosse la produzione che chiedeva di avere voce attraverso l’operazione del Gruppo 63. Si pensi che, nel solo biennio 63-64, saranno editi tanto Fratelli d’Italia quanto Triperuno e Come si agisce, Povera Juliet e Lezione di fisica, Barcelona e La scoperta dell’alfabeto, L’oblò e Hilarotragedia. E cito con molte lacune. Insomma il Gruppo 63 fu un luogo di dibattito di singoli e nuclei più compatti, del rango dei Novissimi, da cui poi nacquero altre aggregazioni e sbocciarono percorsi individuali, magari divaricati e oggi lontanissimi. Sarà bene ricordarsi che del Gruppo facevano parte, oltre a Balestrini e Giuliani, tanto Sanguineti, Pagliarani e Porta, quanto Barilli e Angelo Guglielmi, Furio Colombo, Amelia Rosselli e Bonito Oliva, Vassalli, Eco, Celati, accanto al gruppo parasurrelista di Costa, Spatola, Celli e Vicinelli, ai visivi Pignotti e Miccinni, o a sonori dello spessore di Lora Totino. In altre parole, per citare uno degli scritti che Luciano Anceschi dedicò al ’suo’ Gruppo, «un lavoro d’equipe che non vuol costringere le singole personalità. » Che un’iniziativa del genere portasse il terremoto nelle Lettere italiane agli esordi degli anni Sessanta non meraviglia certo nessuno, ma che dire del fatto che anche oggi gli attacchi non si siano fatti attendere, quasi che quest’antologia girasse il coltello in una piaga ancora aperta? A sferrare il primo, dalle pagine di Alias, è un giovane critico, Andrea Cortellessa, lo stesso che, qualche giorno fa, tesseva le lodi di Tommaso Pincio sul Corriere. Meglio sarebbe stata un’anastatica, dice Cortellessa; i curatori barano, inseriscono testi che a Palermo non furono letti. Vero, ma il Gruppo 63 di incontri ne fece 5 e tutti i testi collazionati da Balestrini e Giuliani sono stati scritti proprio tra il 63 e il 69, come noterà chiunque vorrà dare un’occhiata alle Fonti, in coda volume. Certo, chi si spende tanto nella promozione di romanzieri così tradizionalmente mediocri come Pincio non può aspettarsi niente di buono da un riaprirsi di un dibattito letterario serio e serrato, ma il rimpiangere una riedizione «anastatica» di un vecchio testo, in luogo di una così ricca antologia, devia nel rimosso freudiano, nell’inconscio desiderio che per le Avanguardie si aprano quanto prima le porte del Museo, a garanzia degli equilibri momentaneamente pattuiti col potere della comunicazione globale. Un bell’esempio di come «in mancanza di argomenti critici, vengono gridati (…) oscuri simboli di difesa e rifiuto» E cito ancora Anceschi…
Ma se, infine, sarà il Museo quello che accoglierà le pagine dei Novissimi e dei loro sodali - e certo non quelle degli epigoni italioti di Pynchon - quel momento non è ancora arrivato e senza un confronto con quegli autori, senza passare, certo criticamente ed autonomamente, attraverso le loro opere non c’è rinnovamento possibile per la letteratura italiana che sarà. Insomma, vien da dire, a terzo millennio iniziato: chi è che ha paura del Gruppo cattivo?

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