Censura alla veneta

alfabeta2, marzo 2011 4 marzo 2011 Costume e società
Censura alla veneta

Dell’oscuro potere delle parole sui destini umani, della spesso insospettata forza in esse insita fece le spese, com’è noto, il povero Renzo Tramaglino, ingenuo setaiolo di campagna, travolto a Milano dalla jacquérie e dalla peste…
Nel Trentaquattresimo capitolo dei Promessi sposi, mentre bussa inutilmente all’uscio di Don Ferrante, alla ricerca di Lucia, il suo gesto viene equivocato: le donne iniziano ad urlare - “dagli all’untore, dagli all’untore!”. Renzo fugge ed è costretto a fuggire da ‘untore’, saltando sul carro dei monatti, che lo accolgono, sì, ma convinti anch’essi che sia, per l’appunto, un untore…
Paradosso del tutto: è solo grazie all’equivoco che si salva, il buon Renzo. Nella medesima parola sta dunque la sua condanna e la sua salvezza.
Un incubo: una notte in cui tutte le vacche sono nere….

Anche in questa faccenda, triste, desolante, dei tentativi di censura dei libri di tanti autori italiani colpevoli solo di aver firmato un appello per Cesare Battisti, nel 2004, l’oscuro potere delle parole si esplica con chiarezza.
I fatti credo siano ormai conosciuti da molti: dall’invito a escludere dalle biblioteche veneziane i libri degli autori firmatari dell’appello per la liberazione dello scrittore (allora detenuto in Francia) ed ex membro dei PAC, lanciato dall’Assessore Provinciale veneziano, Raffaele Speranzon, ex MSI confluito nel PDL, che ha poi rincarato la dose, dichiarandoci persone ‘non gradite’ in Provincia di Venezia, sino alle dichiarazioni minacciose di Elena Donazzan, Assessora Regionale del Veneto, anch’essa del PDL, una signora che se va in giro ostentando al collo una celtica tempestata di brillantini: a suo parere andavamo esclusi anche da tutte le scuole della regione: con noi niente dibattiti, libri sfrattati dalle biblioteche, che il silenzio della vergogna calasse su di noi!
Molti di voi sapranno anche com’è andata a finire questa prima puntata, con le più o meno eroiche ritirate, tanto di Speranzon che di Donazzan, grazie anche a una robusta ondata di indignazione popolare e un’attenzione della stampa estera proporzionalmente superiore al clamore suscitato qua da noi.
All’Indice eravamo finiti in tanti, autori con posizioni letterarie e politiche molto diverse, accomunati dal solo fatto di avere osato dire una parola in difesa del diabolico terrorista rosso, di aver sollevato qualche dubbio sulla versione ufficiale dei fatti.
Ma l’Indice postmoderno pare essere peggiore anche di quello antico, della Santa Sede, che si limitava a censurare libri e a raccomandare agli autori di non sostenere più pubblicamente le idee sottoposte a censura. Qui si va oltre: da Roma sin a Berlino e poi di nuovo a Roma, con le leggi razziste della Germania hitleriana, prontamente imitate dall’Italia fascista e sabauda. Si censurano gli autori e, per una strana, perversa metonimia, si mandano metaforicamente al rogo tutte le loro pubblicazioni, si tratti pure di testi di cucina, o sillogi di poesie d’amore. Sono ‘diseducativi’ in quanto partoriti da menti malate, pericolose, obbiettivamente (?) dannose per la società. Arte degenerata…
E poiché ogni censura, come una scomunica, è, prima di tutto, un atto verbale, linguistico, nella sua concezione, come nella sua pratica attuazione, le parole sono fondamentali: la sua pronunzia è, in realtà, più importante della sua effettiva realizzazione.

Grazie alle parole, le cose, a volte, diventano diverse da quelle che sono: nei Promessi un setaiolo ingenuo e ignorante, alla ricerca della sua perduta promessa sposa, si muta nell’agente virale e cosciente di un’enorme pestilenza, anche se non lo è affatto… In Veneto un gruppo di scrittori che chiede chiarezza e che si apra finalmente un dibattito serio, sereno, senza infingimenti, né buchi di memoria su quegli anni, si tramuta in un’accolita di pericolosi eversori, gente senza cuore, che ha il coraggio di insultare la memoria delle vittime…
Quali sono, nel nostro caso, queste parole?
‘Terrorista’, innanzi tutto: basta che in una qualsiasi cronaca giornalistica la parola faccia capolino, perché essa inizi ad agire con il suo veleno. Si può dire quel che si vuole, ma se Battisti è stato un terrorista ha, comunque, in ogni caso, su qualsiasi faccenda, torto. Sempre. Il malefico magnetismo di questa parolina è eccezionalmente efficace, taglia le gambe a ogni discussione, annichila ogni capacità di giudizio autonomo. Si ha torto e basta: non c’è una buona ragione per difendere un terrorista. Nessuna. E’ come per Caino.
A questo sostantivo, si fanno seguire, di solito, una serie di apposizioni, per lo più dedicate a descrivere ed individuare noi che quel manifesto firmammo: si va da ‘difensori’ (ancora accettabile, anche se evidentemente impreciso), a ‘fiancheggiatori’, o addirittura ‘complici’, in un tripudio di alternative paradigmatiche, che trova la sua acmé nella titolazione dell’elenco immediatamente pubblicato da Libero: “Ecco chi sono gli amici di Battisti”. Allo stato latita il solo: ‘compagni di merende’, ma se lo saranno riservato per la prossima occasione.
Naturalmente nessuno dei firmatari di quell’appello è stato, o è un terrorista, nessuno di quei firmatari, molti dei quali, come me, hanno gli anni necessari, in quel periodo ebbe complicità alcuna al proposito: non ci sono membri delle BR, di Prima Linea, o dei PAC tra noi. Ma questo conta poco.
Come conta poco che, quando fa comodo - spesso proprio quando si denuncia la censura - da ‘terrorista’, il Battisti si tramuti, come per magia, in ‘criminale comune’.
A Napoli lo chiamiamo: il ‘Gioco delle 3 carte’. Un gioco a cui si perde sempre… Le parole sono quelle che ci narrano la realtà, che la fanno ‘praticamente’ reale, che ci fanno scegliere, giudicare. E le parole, a volte, sono maschere. Altre, sono truffe.
E’ così che, su molti quotidiani, con uno scivolamento, impercepibile, ma netto, chi dava conto di ciò che stava accadendo qui, nel Triangolo del Nord Est, pur dovendo (e volendo, magari) scrivere di un episodio vergognoso, in cui una serie di politici illiberali ed arroganti pretendevano di imporre liste di proscrizione alla cultura, alla scuola e all’arte, poi ha finito inevitabilmente per discutere d’altro: del ‘terrorista’ e della sua ‘impunità’.
A questo riflesso condizionato, a questa sorprendente coazione a ripetere i ‘70, nel tentativo di dimenticarli per sempre, sembra rispondere un editoriale di un quotidiano locale (di centro-sinistra) dedicato alla faccenda, e titolato: Né con Donazzan, né con Battisti; calco inquietante di certi aut-aut che si facevano eco all’epoca. O con lo Stato, o con le BR. Né con lo Stato, né con le BR. Impressionante…

C’è poi un’altra espressione chiave: ‘cattivi maestri’.
Anch’essa ha una sua storia che tutti conoscerete, ma che qui in Veneto risuona in modo particolarmente intenso a causa di una triste mattina di un 7 di aprile. Il suo campo d’intensione semantica è tanto ampio da non indicare solo una ‘cosa’, una ‘situazione’, ma tutto un discorso. Un discorso che suona più o meno così: è vero, la cultura è indispensabile, sacra, ma badate che ci sono casi in cui essa è letale, casi in cui è lecito perseguitarla, censurarla, annientarla.
In quest’ossimoro perfido, LorSignori, i Ferdydurke-boss di quest’Italia cocainomane, arrapata sino allo stremo, debosciata, menzognera, vigliacca, mafiosa, pedofila e furbissima, mettono tutto il loro veleno.
L’Assessore Donazzan non ha perso l’occasione di pronunziarla, a nostro proposito. Ecco cosa siamo: cattivi maestri, gente che tradisce il suo compito, che invece di suggerire valori sani, condivisibili, induce in errore l’animo dei giovani e degli ingenui. Dei vigliacchi… Poco meglio dei pedofili. Ma poco...

Così, grazie all’inquietante capacità ‘semanto-fagica’ e ‘semanto-mutagena’ di certe parole, dello scandalo vero si è parlato poco nei canali mainstream nazionali, si è scarsamente discusso di quanto, e se, un politico abbia il diritto di limitare la libertà dei cittadini, sottraendo loro dei libri, delle fette di sapere e di arte, in base al fatto che a scrivere questi libri, questi, romanzi, queste poesie sia stato un ‘cattivo maestro’, un ‘amico di un terrorista’. O se ciascuno di noi abbia ancora il diritto di formarsi una sua libera opinione su chicchessia ed esprimerla.

Achtung Juden! Achtung banditen! Ciò di cui hanno bisogno è paura. Si nutrono di PAURA… E caricano di paura le parole, quasi fossero stregoni che distribuiscono tabuizzazioni a colpi di formule magiche.

La faccenda agisce, in ogni caso, a vari e diversi livelli, basti pensare alla querelle, che tanto imbarazzò certa Sinistra, a proposito del ‘mercenario’ italiano ucciso in Irak, che mercenario era, ma fu fatto passare per ben altro (diciamo: contractor), o al povero Baldoni, giornalista, sì, ma freelance, insomma, e grazie ad una traduzione un po’ troppo libera, un ‘dilettante’ (anche se non lo era affatto, dilettante), uno che se l’era andata a cercare, in buona sostanza.
Taccio, dell’espressione Black Blok, il suo danno è troppo recente ed evidente per sottolinearlo ancora.
Ma lo strano fenomeno di ‘mutazione’ lessematica ormai dilaga. Fausto Curi, su queste stesse pagine, il mese scorso, faceva taglienti osservazioni a proposito di ‘libertà’, a cui mi verrebbe da aggiungere solo la notazione del fatto che essa (la beffa, oltre il danno) viene sbandierata (e maiuscolata) negli onomastici dei due principali gruppi della Destra italiana: il Popolo della Libertà e Futuro e Libertà, anche se è evidente a molti che la ‘libertà’ di cui si parla, nel primo caso, ha molto più a che fare con le libertà medievali e castali rivendicate dai grandi signori europei nei confronti di questo o quel sovrano, piuttosto che con quella di cui discorreva sin il moderatissimo Monsieur Voltaire, e che, nell’altro, il leader del liberalissimo e futurista gruppo è il primo firmatario delle due leggi che, più di qualsiasi altra, hanno inutilmente riempito le carceri di poveri cristi: quella sulle droghe e quella sull’immigrazione. La parola agisce da maschera. Ed è piuttosto efficace, direi.
Peraltro, un certo vento giustizialista fa sì che ‘legge’ e ‘giustizia’, oggidì, siano sinonimi, mentre è evidente che sta proprio nel tendere della legge a rendersi sempre più adeguata alla giustizia che sta l’unica possibilità della legge di essere davvero utile a una società e nonostante che, per descrivere i rapporti tra legge e giustizia, nelle società più liberali, si sia coniata l’espressione ‘legalità democratica’. Per la stessa ragione, la parola ‘magistrato’ è ormai un passepartout… Tutti i magistrati sono buoni, in quanto magistrati. Anche quelli a cui, tempo fa, sarebbe stato riservato l’epiteto di “ermellini da guardia”.
Mi sbaglio, se dico che c’è da rabbrividire?

Allora, per tornare al punto, forse la ragione per la quale non si vuole aprire una discussione pacata ed approfondita su quegli anni è anche questa: perché si vogliono usare i fantasmi-parola di quegli anni bui come parole-babau per il presente, come arma impropria per stroncare qualsiasi richiesta di libertà e di diritti, qualsiasi ipotesi di cambiamento che costringa LorSignori e i loro complici di casta (ché ormai, all’odio di classe, si sta sostituendo l’odio di casta, e non mi pare buona nuova) a togliere il disturbo.
E’ questo che interessa davvero LorSignori, non i sentimenti, o il dolore dei parenti delle vittime.

Ma non posso esimermi da un’ulteriore riflessione.
Quando si chiede di censurare questo, o quel libro, nelle biblioteche e nelle scuole, l’operazione ha due facce: lungi dal rappresentare un reale danno economico per l’autore (che ne viene piuttosto colpito a livello ‘personale’), o per l’editore, essa ‘censura’ piuttosto i lettori delle fasce deboli, i giovani, gli anziani, i meno abbienti, insomma tutti coloro che, non potendo comprarseli, i libri vanno a leggerli in biblioteca.
Non si colpisce la ‘domanda solvibile’, ma si annienta la ‘domanda sociale’. Così si ottiene un doppio scopo: quello di censurare quei libri (ma soprattutto di squalificarne gli autori e quindi diminuirne radicalmente le capacità di intervento nel reale, renderli inservibili per qualsiasi atto ‘politico’) , ma, parallelamente, anche quello di incrementarne le vendite e, a volte, di arricchire paradossalmente i mandanti stessi di quella censura: la merce, grazie al risalto mediatico, circola frenetica, mentre gli esseri umani che l’hanno prodotta vengono, di fatto, reclusi e ammutoliti.
Un circolo vizioso, che diventa doppiamente virtuoso per quello che una volta avremmo chiamato il Capitale…

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