Blog: il dialogo alla riscossa

30 marzo 2005 Net&Blog
Blog: il dialogo alla riscossa

Da un po’ di tempo si discute molto di weblog sulla carta stampata: da un certo punto di vista, da quello, per esempio, di giornali come il nostro, che al fenomeno hanno dedicato spazio e attenzione da tanto tempo, certa compulsiva attenzione rischia di risultare fin sospetta, quasi che, più che di fronte a un discorso, a un atto conoscitivo, o alla pacata curiosità del saggio, ci si trovasse di faccia allo scongiuro apotropaico del buon selvaggio, che urla e strepita, spaventato dal fulmine a ciel sereno, per poi ripararsi dal tuono, senza aver nemmeno intravisto il lampo.
D’altra parte, le capacità della Rete di influenzare in modo rilevante il reale sono in continuo aumento e questo soprattutto dal momento in cui l’espansione esponenziale dei weblog è diventata una realtà globale. Il caso del senatore repubblicano Trent Lott, costretto a dimettersi, nel 2002, dopo aver pronunciato un discorso profondamente razzista, su cui i media ufficiali avevano nicchiato e che era stato, invece, oggetto di una vasta campagna di denuncia sui weblog, è solo la punta di un iceberg e i casi in cui la ’ant colony’ - la colonia di formiche, come viene chiamata la redazione collettiva della blogsfera, cioè della Rete dei blog - è riuscita a influenzare la realtà, o a dare spazio a un’informazione corretta sono ormai moltissimi: da Robert Cox, che con la sua pignoleria filologica riesce a imporre al New York Times un cambio migliorativo nel sistema di correzione delle bozze, al blogger australiano Tim Blair che pesca con le mani nel sacco un giornalista del Chicago Tribune, Uli Schmetzer, che falsifica l’intervista a uno psichiatra e il giornalista falsario - immediatamente licenziato - dà l’addio a una ventennale carriera.
I casi non mancano neanche qui da noi: si pensi a Sepulveda che deve affrettarsi a chiarire sulle pagine del ’manifesto’ le differenze tra la traduzione italiana di un suo intervento, offerta dal quotidiano di via Tomacelli, e il testo originale in spagnolo, pescato sul sito di Attac Cile dal blogger Flavio Grassi (in Rete, pfall), o all’enorme mole di materiali e controinformazione prodotta su Genova, durante Genova e dopo Genova da siti come Inymedia, Radio Sherwood, pillolarossa, rekombinant, o alla funzione fondamentale svolta da e-zine come Carmilla nello svilupparsi della controversa vicenda di Cesare Battisti. In campo letterario, poi, la cosa è ancora più evidente e non sbaglierebbe di molto chi affermasse che la nascita di tanti weblog letterari (personali e collettivi) è una delle cause della rinascita di un dibattito che era ormai languente, smorto, quando non definitivamente cadaverizzato. Quando, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, le rivista letterarie davano l’addio definitivo alle armi (e con loro moriva il dibattito delle poetiche) pochi tra noi potevano immaginare che presto quel posto sarebbe stato occupato da un medium altrettanto efficace e ben più duttile e ’comunicativo’, quale è oggi il tessuto, strettamente interconnesso quasi naturalmente in network, della vasta costellazione di siti dedicati alla letteratura, in cui il dibattito tra gli autori, i critici e (novità sostanziale) il loro ’pubblico’ si fa stringente, ogni giorno di più.
Di questo e di molto altro parla Blog generation, il bel libro che Giuseppe Granieri pubblica presso Laterza, sorta di manuale o ’introibo’ ai principali nodi antropologici e sociali che la Rete fa nascere nelle comunità ’glocali’ ed interconnesse del Terzo Millennio.
Scritto con una prosa fluida e senza troppe concessioni ai tecnicismi idiolettici, Blog generation, come nota nell’Introduzione Derrick De Kerckhove, è poi un testo ’politico’, attento alle conseguenze collettive, agli aspetti ideologici e materiali di questa complessa e vastissima rivoluzione delle relazioni sociali provocata dalla digitalizzazione dei nostri linguaggi e della nostra relazionalità personale e collettiva.
Proprio con lui proviamo, ovviamente via Rete, ad approfondire alcune delle questioni fondamentali affrontate da Blog generation.
La tesi di fondo del libro mi pare essere quella secondo la quale nulla è più lo stesso in Rete dopo l’avvento dei weblog. E’ davvero così?
«Se vogliamo usare una formula di comunicazione che si opponga in qualche modo alle semplificazioni utilizzate per descrivere Internet dell’immaginario new economy, possiamo dire di sì. In realtà non stiamo parlando di un interruttore on/off che illumina o toglie la luce. Quello che sta accadendo oggi in Rete è un processo sociale, quindi per sua natura è un cambiamento lento ed è più vicino al concetto di evoluzione e di work in progress che a quello di rivoluzione. Il dato sostanziale è che, per la prima volta nella storia delle comunicazioni umane, oggi milioni di persone hanno un canale per esprimersi e questo canale è pubblico, quindi ha un suo ascolto. Questa situazione apre alcuni scenari completamente nuovi e ci obbliga a rivedere le nostre categorie interpretative, poiché non è possibile - ad esempio - analizzare ciò che succede oggi in Rete utilizzando la nostra esperienza sugli altri media o su altri modelli editoriali. Il rischio è di finire come gli aztechi a chiamare cervi i cavalli dei conquistadores.»
Non c’è nulla di più ’scritto’ di un weblog, eppure, nella dinamica dei commenti, nel flusso stesso dei post, dei singoli contributi che si susseguono giorno dopo giorno, istante dopo istante, sembra di intravedere un calco di ’oralità’. Si tratta solo di un residuo, qui più evidente che altrove, o il weblog sta ’oralizzando’ la parola scritta?
«Non è un mistero che le tecnologie modifichino l’espressione umana. La scrittura ha cambiato modi e tempi del discorso, generando la filosofia. La stampa, con la possibilità di utilizzare grafici e quadri esplicativi ha fornito un valido supporto al pensiero scientifico. La televisione ha iconizzato il modo di ragionare e persino di presentare le notizie. I weblog, da parte loro, stanno riavvicinando un numero incredibile di persone all’espressione scritta e quindi all’argomentazione, che nella nostra società attuale è una specie di asset secondario e trascurato. Io non parlerei di oralità in senso stretto; forse sarebbe più corretto porre l’accento sulle caratteristiche dialogiche dello strumento. In ogni caso l’assenza di mediazioni e la possibilità di ogni lettore di aggiungere contenuti e persino obiezioni ad un testo, di rielaborarlo e di rimetterlo in circolo sono un fatto completamente nuovo e positivo, che tocca la sfera cognitiva di ognuno di noi, ma anche i modelli sociali e i canoni della cultura. Si guardi al dibattito letterario italiano: prima era circoscritto allo spazio limitato delle poche pagine culturali dei quotidiani, oggi in Rete vive di un grande fermento, tanto da «tornare» in forma di sintesi sui quotidiani stessi.»
Non sono d’accordo sul fatto che la televisione iconizzi l’informazione: a mio parere, piuttosto, la rende orale, e dunque transitoria ed irripetibile, ma la faccenda poi non cambia di molto. Parliamo, piuttosto, dei link, di quei collegamenti cioè che portano da un sito all’altro e che costituiscono secondo alcuni la ’moneta’ della Rete, interessiamoci, un momento, dell’economia politica del Web. Più si è linkati, più si è individuabili, dunque visibili e ’ricchi’, almeno in termini digitali. In realtà la Rete è, dunque, molto meno orizzontale ed egualitaria di quanto sembri a primo acchito. Una delle regole che presiedono alle dinamiche del Web recita: rich get richer, il ’ricco’ tende a diventare sempre più ’ricco’, e questo non è un dato rassicurante... In ambito strettamente letterario, o culturale, ad esempio, si rischia una sorta di dittatura degli ’hub’ (si chiamano hub, quei ’nodi’, quei siti della Rete più noti, più visibili rispetto agli altri, comunemente: le cosiddette blogstar. Ndr.), anche perché ’hub’ divengono una serie di nodi, infine di persone, o soggetti collettivi, che devono tutto ciò anche a una ’notorietà’ esterna alla Rete, la quale non è un sistema chiuso rispetto al ’reale’, ma fortemente poroso... Alla struggle of class si sta sostituendo la struggle for attention? Che caratteristiche ha questa nuova ’classe dirigente digitale’?
«I link oggi sono in qualche modo l’unità di misura della Rete, poiché decidono l’accesso alla conoscenza. E’ un dato di fatto, una caratteristica del sistema. L’idea romantica originaria, secondo cui tutti i punti del network hanno la stessa potenziale visibilità, è stata smentita da un esercito di matematici e fisici. I weblog non fanno eccezione, naturalmente, tuttavia va fatta una considerazione. Non siamo uguali nemmeno in natura, non c’è ragione per esserlo in Rete. Se la distribuzione della visibilità premia alcuni, tutto sommato è perché altri compiono una scelta, che è una decisione libera in un modello in cui ciascuno sceglie in base ai propri gusti. Anche qui, non dovremmo usare i canoni dei media tradizionali: Bruno Vespa è paragonabile ad un grande centro di interesse e quindi di potere, ma in un modello diverso, da logica mainstream e di fronte ad un’audience passiva. La presenza di hub in un network è invece un fattore relativo. Semplificando molto, i weblog premiano rapporti di fiducia e spesso un interlocutore che ottiene fiducia su un tema, perché in grado di offrire un valido expertise, a sua volta si affida ad altri hub per diversi argomenti. Inoltre gli hub fanno da connettori tra diversi «piccoli mondi», favorendo la contaminazione tra ambienti, registri e linguaggi. Sono utili al sistema. Quanto alla «lotta per l’attenzione», è anche questa relativa poiché nella «blogosfera» l’attenzione è una risorsa meno scarsa che in tutte le altre avventure comunicative della storia umana. E’ un mondo in cui pochi, magari, hanno una wide readership, ma tutti hanno il loro circolo di lettori. E i vari circoli comunicano tra loro.»
Quanto, per altro verso, può essere oggi decisivo il ’meme’ (il ’meme’ è un’informazione culturale che si espande in modo ’virale’ attraverso la Rete. Ndr.) nel cambiare gli immaginari e l’ agenda setting collettiva?
«Se per meme intendiamo genericamente una «informazione culturale» e se ci interessa capire come queste informazioni guadagnano consenso e solidità, abbiamo ancora molte mappe da tracciare. Di sicuro oggi la Rete modifica alla radice i processi di informazione e quelli cognitivi del cittadino. L’acquisizione delle informazioni ufficiali (quelle per cui si andava in edicola o si guardava il TG) è semplicissima, a costo zero. Mi basta andare su Google News e trovo tutte insieme le notizie dei quotidiani, delle agenzie e delle webzine indipendenti. Le posso confrontare, posso verificare chi si omologa agli altri nella presentazione di una notizia, chi forza l’interpretazione. Però non è tutto. Ho un weblog, quindi sono già mentalmente predisposto a rielaborare e a ridistribuire la notizia. E ho Google e molti altri strumenti per fare le mie verifiche e i miei approfondimenti. Gli anglosassoni descrivono così il processo: read it, google it, blog it. Diventa dunque intuitivo pensare che questa operazione, svolta quotidianamente da milioni di persone, delinei in Rete un’agenda alternativa all’agenda setting dei media.»
Parlare di weblog significa parlare di comunicazione e socialità. Ti faccio una domanda, magari scontata, ma ineludibile: non credi che infine la socialità digitale, incorporea, che sta sostituendosi a quella materiale, di corpi, odori, ecc., possa rivelarsi, a conti fatti, un passo indietro rispetto alla realtà? Si può vivere solo di comunicazioni e socializzazioni ’digitali’?
«A meno che tu - via e-mail - non stia intervistando un ologramma, direi che le nostre vite rimangono reali pur dotandosi di ulteriori strumenti di comunicazione. Dirò di più, il confronto incorporeo «dentro» internet è un processo di formazione delle opinioni che poi ciascuno di noi si porta dietro parlando con la nonna o col vicino di casa. Nella campagna elettorale del 2004 tutti i candidati che hanno utilizzato la Rete hanno finito per scoprire che le «opinioni virtuali» dei cittadini spesso diventavano banchetti da campagna elettorale davanti i garage delle case. »
Recentemente, dopo un intervento tanto duro quanto superficiale di Nicoletti su TTL, supplemento della Stampa, la polemica sui blog è riesplosa. Nicoletti ne ha per tutti e trasforma la blogsfera in una sorta di ghetto di eterni dilettanti e fighetti superficiali, schiavi della moda digitale. Qual è, a tuo parere, la ragione di tanto astio, di un giudizio così netto, che non ammette repliche?
«Non mi concentrerei tanto sul giudizio. Personalmente me ne sono stupito, venendo proprio da Nicoletti, ma in un mondo di libertà di espressione continuo a considerarlo legittimo. La vera novità, oggi, è che sono ammesse le repliche. Se io scrivo qualcosa sulla pagina di TTL e sostengo delle tesi, c’è un sacco di gente lì fuori che può discuterle e smontarle, o sostenerle. Anche da un grande quotidiano partecipo ad una discussione che può coinvolgere migliaia di persone, fino a diventare un tema sociale. E’ un rapporto nuovo che oggi deve essere vissuto con consapevolezza da chiunque abbia un minimo di esposizione mediatica. Il bello è che, mentre in televisione prevale l’ultimo messaggio ed è facile ritrattare, la Rete ha memoria e mette tutto agli atti.»

Giuseppe Granieri
Blog Generation
Laterza, pp.180

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2 Messaggi del forum

  • > Blog: il dialogo alla riscossa 31 marzo 2005 19:23, di Gabriele Pepe

    In questo lungo e bello articolo ci si rende visivamente conto di come l’italiano è una lingua morente. Non sono per natura un conservatore ma la lingua di un popolo è una ricchezza troppo importante per non tentare di difenderla con tutti i mezzi a disposizione compresi: la poesia e la letteratura in genere, la rete, i blog, etc. Ed anche se è una battaglia persa in partenza per me vale sempre la pena combatterla fino in fondo. Almeno vendiamo cara la pelle! :o)))
    ciao

    Gabriele Pepe

  • > Blog: il dialogo alla riscossa 31 marzo 2005 10:15

    diciamoci la verità Lello: i blogger leggono meno giornali e i giornalisti sono costretti a leggere i blog!

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