Alfredo Giuliani nel Poetrix Bazaar

14 febbraio 2004 Articoli e recensioni
Alfredo Giuliani nel <i>Poetrix Bazaar</i>

Che un poeta (la sua poesia) non invecchierà, lo si vede in vecchiaia, non c’è dubbio. E dubbio non c’è che questo vale per Alfredo Giuliani.
Né paia impertinenza sciocca di qualche primavera mancante l’etichettare da Seniles questa nuova raccolta del prefatore dei Novissimi, perché è proprio lui a specificarlo, con allusione leopardiana, nella nota (Qualche notizia dell’autore su com’è nato questo libro) che introduce la silloge: «Me ne stavo serenamente ingiallito e contento dei deserti», per annotare, qualche riga più avanti, a proposito della sua attività di composizione poetica: «Queste sporadiche e capricciose sortite mi bastavano, mi tenevano in esercizio e tutto finiva lì. Erano per così dire "laterali", rispetto a un centro che non esisteva più.» E se Giuliani perimetra per questi suoi nuovi testi uno spazio in qualche modo postumo, ha le sue ragioni. Perché dalla scommessa - nata da un’incauta promessa fatta a Ciro Vitiello, direttore della collana di poesia di Liguori, di riprogettare un libro - nasce poi uno dei suoi testi più interessanti e coinvolgenti, che proprio a partire dal suo essere postumo struttura gli accenti e i timbri personalissimi e nuovi che mette in campo e che nascono dalla capacità del poeta - «giovane vecchio» - di «dare del tu al mondo», suo coetaneo: «Mi sembrava di essere diventato un giovane vecchio, era come una percezione di realtà capovolta. Mi sono dato del vecchio, semplice semplice, con una certa baldanza. Non ho più niente da perdere, mi sono detto, posso chiamare a raccolta i pensieri e i sarcasmi prediletti, i sentimenti le ’verità’ e le repulsioni. Godermi il piacere di soffrire e giocare con le parole. (…). Dare del tu al mondo, siamo tutti e due giovani vecchi».
Così, se ha certamente ragione Renato Barilli nel sottolineare - nella sua Introduzione - quanto anche in Poetrix Bazaar siano riconoscibili le caratteristiche fondamentali del Giuliani Novissimo (accrescimento di vitalità e riduzione dell’io, dire «sghembo», perché la «poesia è quello che fa») - ché, se pure il lupo neo-avanguardista avesse perso il pelo ( e certo non è così), non avrebbe poi certo abbandonato il vizio - per altro verso, questo ultimo libro di Giuliani è in qualche modo la cronaca di un risveglio, una presa di distanza dal sogno (dal «dèmone»), l’inizio nuovo e definitivamente cosciente di un «giovane vecchio», una staffilata di luce, energica e spietata, data con sprezzatura comprensiva e pacata, che smaschera sì, ancora una volta, tutti i trucchi dell’io, ma coglie una levità crudelmente ironica della vendetta (letteraria e linguistica, quanto politica e ’antropologica’) che forse era giustamente sconosciuta al più giovane Giuliani degli anni Sessanta: «fondamento crolla e noi bravi a crollare / studiando magie archeologie / abisso senza fondo non è cosa di macerie / morte sarà risposta voilà inaudita aldilà // Festa di morte il vero e altro non si sa» (Partiture.1), o, in altro luogo: «Rintanato / nell’emisfero sinistro del cervellotico elisio / m’insonnio / e a buon conto mi canticchio / fancul fancul saluti a tutti » (Il badante di Eraclito).
Il nuovo orizzonte che si apre è allora il raggiungimento di quell’obbiettivo di ’verità’ già dichiarato nella prefazione ai Novissimi del 1961 («Tutti noialtri, ci siamo fatti un problema di verità, di rinnovamento strutturale, non di realismo coatto») : «(…). Per me le poesie / non sono più canti, sono parole del vero che senti.» (Sfumature del potere). Ed ecco che allora, quasi in sottofondo, si aprono scenari inquietanti: «Grandiosa la catastrofe / futile il rimpianto / per gli umani invano sarà stato / l’irresistibile mistero / di specchiarsi nel naufragio» (Letale cosmorama).
Giuliani è lì, sulla punta acuminata della contraddizione che spalanca il baratro, a suggerirci, con la bonomia terrificante dell’inevitabile che solo la vecchiaia conosce, ma che certo non risparmierà la gioventù : «Pss Pss / Bisogna scomparire / prima che sia troppo tardi» (Fast Frust). Per concluderne, poco più avanti: «L’effetto è una tragedia da ridere, e questo / quasi tutti lo sanno. Perché lo fanno.» (Mi spiace, gli umani -geni compresi - sono ridicoli).
Questo è Poetrix Bazaar: poesia di pensiero, ridotta all’essenziale dell’indispensabile, fondata - per geniale sberleffo - sulla serietà terribile dello scherzo, sulla catastrofe che si cela dietro ogni motto di spirito…

Alfredo Giuliani
Poetrix Bazaar
Introduzione di Renato Barilli
Postfazione di Ciro Vitello
Napoli, Liguori, pp.90 €.8,00.

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