El pibe Lamborghini

alfabeta2 -giugno 2013 22 giugno 2013 Articoli e recensioni
El pibe Lamborghini

Non so se Haroldo de Campos conoscesse l’opera di Osvaldo Lamborghini, né posso qua azzardare ciò che mi piacerebbe azzardare, e cioè che, se l’avesse conosciuta, gli sarebbe piaciuta moltissimo.
Quello che so di certo è quanto Lamborghini sostiene a proposito del suo amato Rimbaud e cioè che il francese «dice me ne vado, ma bisogna intendere che viene; dalla prospettiva francese uno pensa che Rimbaud se ne vada e immedesimandosi se ne va con lui. No tu non te ne vai con lui, te ne stai qui ad aspettarlo. Il fatto che se ne vada vuol dire che se ne viene da queste parti; in Africa, nella pampa argentina, per Rimbaud è la stessa cosa». Ecco, quando scrive questo, Lamborghini sta applicando coerentemente (a sua insaputa, ma coerentemente) quella poetica antropofaga che di De Campos è stata l’insegna. Una poetica che divora la cultura europea e la ricrea in America latina. Il suo attendere Rimbaud a Buenos Aires è l’attesa del cannibale americano, in agguato per sorprendere la preda europea: il pibe Lamborghini attende il pibe Rimbaud, per divorarlo. Un gioco tra ragazzi, insomma. Per precipitarsi insieme in un comune dérèglement.

«Lamborghini è una scatoletta sullo scaffale giù in cantina – dice di lui Bolaño - una scatola di cartone, piccola, coperta di polvere. Ebbene se uno apre la scatola, dentro ci trova l’inferno».
Né questo gioco tra ragazzi poteva escludere l’altro cantore sarcastico e sulfureo dell’adolescenza, quel polacco Gombrowicz, autore del geniale Ferdydurke, che dell’Argentina ha fatto da tempo la sua seconda patria.
Meraviglia piuttosto che sinora, nella discussione a proposito di Lamborghini non sia ancora spuntata traccia di un altro enfant terrible, Isidore Ducasse, il signore di Lautremont, nato un secolo prima a due passi da Baires, a Montevideo: el pibe Isidore. Quel suo sostenere che «non è dato a tutti accostarsi agli estremi, sia in un senso che in un altro» sembra fatto apposta per descrivere tanto l’opera, quanto la vita del poeta argentino.

Nato a Buenos Aires nel 1940, morto a Barcellona nel 1985, autore di prose e poesie, quasi sempre praticamente inedite, o mal pubblicate, da El fiord, a Sebregondi retrocede, dai Poemas al caleidoscopico Teatro proletario de cámara, Lamborghini ha la statura di un mito per la letteratura ibero-americana.
La sua poesia ha un segno inconfondibile, un tono tagliente, in cui l’espressionismo di fondo viene risucchiato nel luogo vuoto dove tutto risuona; ogni poesia di Lamborghini è una trappola avvelenata, in cui l’esca è uno spagnolo inconfondibilmente ‘argentino’, macchiato qua e là dal lunfardo, gergo quotidiano, botola nascosta per accedere al nostro inferno.
Ogni volta è chiaro che la posta in gioco è sempre la più alta possibile, quella in cui la poesia è prima di tutto un agire, un fare fatti, un atto linguistico senza scampo dove precipita la vita.
E Lamborghini lo racconta con squisita crudeltà. Sempre. Tanto: «questo sofisma – la tua anima – non te la restituiranno mai. / L’hanno rubata rubandola, l’hanno rubata / depredandola – e scrivendola».

Per questo il suo motto è «pubblicare prima di scrivere», perché, se tutt’intorno è solo ‘letteratura’, merce-letteratura, allora a che serve scrivere? Meglio limitarsi a pubblicare (e in Italia tutto questo fa, evidentemente, l’occhiolino a Manganelli).
«Solo un poveraccio pubblica oggi letteratura, anche quando si tratta di un capolavoro. Come se ci fossimo affidati a una cultura dello “sguardo”: “ vedersi narcisisti o poeti si è trasformato in un’umiliazione. (…). La soluzione dell’enigma… si potrebbe incontrare con un’inversione dei termini: pubblicare senza scrivere».
Ma, poiché Lamborghini vuole a tutti costi, ad ogni costo, essere Lamborghini, non vuole ridursi a essere «l’imbuto del pensiero di tutti», nello stesso modo di Isidore, del pibe Isidore, così chiosato da Artaud, allora non gli resta che la poesia: scrivere senza pubblicare.
Coccolare l’enigma, lasciando che il suo gorgo lo risucchi con lui.

Osvaldo Lamborghini
Il ritorno di Hartz e altre poesie
A cura e con un saggio di Massimo Rizzante
Postilla di Alan Pauls
Libri Scheiwiller

Altro in Articoli e recensioni

Altro in Teoria e critica