I poeti vedono più a fondo - di Donatella Coccoli

Left -2009 23 giugno 2009 03. L’esercizio della lingua
Poesie 1991-2008
I poeti vedono più a fondo - di Donatella Coccoli

Lello Voce, instancabile, porta la poesia sia nelle piazze digitali (il suo Absolute poetry registra 30mila accessi al mese), che in quelle con persone in carne e ossa, centinaia, migliaia. Si deve a lui, poeta, scrittore e giornalista, l’introduzione in Italia del Poetry slam, una gara ma soprattutto un momento di rapporto tra chi dà voce ai propri versi e il pubblico.
Al Festival poesia di Genova il 20 giugno partecipa (L’esercizio della lingua) insieme a Patrick Dubost (Pour ne pas mourir) e a Joumana Haddad, del cui libro Adrenalina ha scritto la prefazione. «Un’ottima poetessa che conosco da anni», dice dell’artista libanese impegnata a Genova ne Il ritorno di Lilith (che è anche il titolo del prossimo libro in uscita per L’asino d’oro edizioni). Com’è il sentire collettivo a proposito di poesia? «Credo che ci sia una grande necessità prima di tutto, che ha due facce: la prima è che il mondo ha necessità della poesia quando questa ha la possibilità di vedere dove nessun’altra disciplina artistica o scientifica riesce a vedere, perché il suo specifico è l’arte della parola. Le comunità si fondano sulla parola e i poeti sono quelli che devono inventare le parole nuove altrimenti continuiamo a sognare sogni vecchi. In un mondo in cui ti svegli e la possibilità che hai è di scegliere tra Berlusconi e D’Alema, tutto diventa un incubo, se non diamo un nome nuovo a questo sogno. L’altra faccia è che la poesia, però, deve cambiare, non può restare chiusa nelle sue camarille, nelle sue “mafie d’avorio”, deve avere il coraggio di tornare a essere ciò che è sempre stata per millenni: un’arte del corpo e della voce. Se la poesia riuscirà a fare questo e riuscirà a farlo con la qualità, e se la critica sarà capace a leggere non solo i segni muti ma ad avere le categorie per interpretare le interpretazioni, allora, se vinceranno i giovani, diciamo, se riusciranno a portare avanti questa ricerca, io credo che la poesia abbia delle enormi possibilità di allargare il suo pubblico.»
L’editoria italiana: quanto pesa la critica?
«Il problema dei critici è che non hanno un know how, cioè non hanno gli strumenti, se non per leggere un testo letterario. Poi c’è un’editoria che è imbarbarita ma rispetto a tutto. Come il caso della Feltrinelli: si distingueva per alterità, eticità editoriale, invece adesso tutto si muove sulla base di un meccanismo di profitto, in cui quel poco di qualità che c’è, si salva per miracolo. Anche le piccole e medie case editrici sono strozzate dal problema della distribuzione e in un meccanismo violento come questo la poesia viene divorata, diventa il fiore all’occhiello, l’alibi affidato a piccoli feudatari che danno spazio solo a ciò che è di loro interesse. In realtà c’è la guerra fra bande.»
La Rete allora è la libertà?
«E’ l’unica possibilità, insieme al copyleft e lo sharing di Mp3. Pensiamo solo a quello che passa attraverso i blog collettivi di poesia, dove avviene il vero dibattito. E poi il Poetry slam, al contrario di situazioni in cui si è mantenuta solo una posizione di rendita, ha creato autori con le proprie gambe senza essere proprietà di nessuno, e oggi se ne fanno centinaia in tutta Italia.»
Siete dei carbonari… «Diciamo che il primo atto politico che fa un poeta quando decide di leggere ad alta voce è quello di invitare a uscire fuori di casa. Il libro scritto ha una sua storia, una sua validità e cinque secoli di parola scritta hanno lasciato una cicatrice sul corpo della poesia, la fanno, bella, interessante. Ma credo che la poesia sia costitutivamente un’arte dell’oralità.»

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