La verità del corpo - Intervista a Joumana Haddad

L’Unità, 2008 4 ottobre 2008 Interviste e dialoghi
La verità del corpo - Intervista a Joumana Haddad

Fare conoscenza con la poesia e la scrittura di Joumana Haddad, libanese, oggi considerata una delle più importanti autrici arabe contemporanee, significa fare i conti con parole scomode e a volte crudeli, ma avvolgenti, vibranti; parole dai significati e dalle forme capaci di essere sempre là dove il lettore meno si aspetta che siano, impreviste e imprevedibili, taglienti, decisive, graffianti, ma anche sensuali, calde, avvolgenti.
Leggere i suoi versi, in arabo, come in francese, in inglese, o in italiano, lingue in cui pure compone, è accettare di fare i conti con lo stupore del dolore e con la spudoratezza del piacere, con la strozzatura della disperazione e con il respiro della speranza. Per lei poesia è sinonimo di passione, di rischio, di conoscenza e di intenso erotismo.

La incontriamo in una piccola casa bianca dalle finestre blu, di fronte al mare, perché proprio in questi giorni sta per essere pubblicato in Libano il primo numero della rivista da lei creata e diretta, Jasad, un’impresa spericolata e pericolosa, ma necessaria e affascinante: una rivista in lingua araba dedicata alle scritture del corpo e dell’erotismo, pubblicata proprio al crocevia di tutti gli integralismi, una rivista che strappa con decisione il chador dagli occhi e il velo dalle coscienze di ogni compromesso con gli steccati ‘morali’ che fanno del corpo (e delle scritture del corpo e sul corpo) il luogo del diabolico, l’oggetto di ogni interdetto. Lei accende il suo sigaro, si versa un bicchiere di vino bianco di Ischia e l’intervista può cominciare...

La sua è una poesia davvero particolare, è fatta di una lingua che graffia,che lascia, letteralmente, il segno. Lei stessa hai detto che scrive ’con le unghie’, può spiegarci quali sono le caratteristiche principali della sua poetica?
«Non so se si possono ‘definire’ veramente, le caratteristiche di una poetica, spesso troppo lunatica e capricciosa (almeno cosi la vedo io) per accettare di essere definita. Comunque direi che nel mio caso essa risiede soprattutto nella fisicità della parola e nella chimica del fuoco; nel rifiuto di delimitarsi, rassegnarsi e stabilirsi; nella libertà assoluta (e terrorizzante) di una mutabilità continua, di una precarietà minacciosa; nel non voler essere lineare, prevedibile e afferrabile: insomma, nell’esercizio dell’inquietudine, e nella disciplina della ricerca: l’inquietudine come motore di vita, e la ricerca come un perseguimento palpabile di me stessa, cioè del mondo, del ‘tutto’, attraverso la cellula più piccola, più insignificante, dell’io. Perciò quest’atto di scrivere con le unghie, perciò questa ferocia, o piuttosto auto-ferocia: scrivere poesia è sempre stato, per me, sinonimo di scavare dentro, nonostante il dolore, le ferite, la paura, i dubbi, i vermi, la polvere, il buio. Scavare nella carne della carne dell’anima. Nella carne della carne del corpo. Nella carne della carne dell’immaginario. Scavare per scoprire cosa c’è sotto, non per arrivare alla fine di un tunnel. Scavare con l’impazienza di una golosa, con la sensualità di un’impudica, con l’umiltà di una perdente, e con la spietatezza di una criminale. Scrivere è anche sinonimo di sfidare. Sfidarmi. Sfidare gli altri non m’interessa. E, se a volte provoco, questa provocazione è solo un “danno collaterale”, mai uno scopo in se stesso.»

Il suo testo più conosciuto in Italia è Il ritorno di Lilith e lei spesso definisce se stessa una Lilith, la donna che venne prima di Eva, Lilith, la ribelle che non accettò di giacere con Adamo standogli sotto, colei che nessuno può prendere e che invece prende. Che significa, oggi, essere Lilith? E che significa esserlo in un paese così particolare come il Libano, certamente il più ’europeo’ dei paesi mediorientali, ma gomito a gomito con l’integralismo religioso?
«Significa, prima di tutto, ‘fare una scelta’. E non sto parlando da un punto di vista femminista, ma più generalmente umano, che riguarda sia gli uomini che le donne. Fare la scelta di assumersi la responsabilità della propria individualità nei confronti dell’industria delle greggi, industria che si chiama ormai “mondo moderno”. Fare la scelta di seguire la propria strada, anche se questa strada non convince gli altri, o li disturba. Fare la scelta di fuggire l’omogeneità, anche se il prezzo da pagare è la solitudine. Fare la scelta di esprimere le nostre differenze, e di esserne fieri. Fare la scelta di dire ‘no’, anzi, di ruggire ‘no’, ma anche ‘sì’, quando ci va di dire sì. Fare la scelta di abbandonare i paradisi artificiali per andare a vivere in inferni veri. In sintesi, essere Lilith significa rifiutare i limiti che ci sono imposti da altri, sfidare il terrorismo invisibile praticato dal mainstream, ed osare trasgredire le censure ed i tabù di ogni tipo: religiosi, politici, sociali, culturali.»

E proprio da Lilith sembra partorito il progetto di Jasad. Può spiegarci cos’è Jasad, quali sono i suoi obiettivi?
«Jasad, parola che vuole dire corpo in arabo, è una nuova rivista culturale trimestrale in arabo, che tratta delle arti e le letterature del corpo, quel corpo definito dal poeta Novalis come “l’unico tempio vero di questo mondo”. Il corpo non solo nelle sue manifestazioni erotiche, ma in tutte le sue rappresentazioni. Forse non sarebbe opportuno parlare di obiettivi, non c’è e non ci sarà mai un’ideologia dietro Jasad, perché io non credo alle ‘cause’ e alle lotte collettive, anche le più nobili. Diciamo che la rivista sarà una tribuna libera per gli scrittori liberi in lingua araba. E ne abbiamo tanti, al contrario di quanto si pensa in Occidente (molti sono i cliché da abbattere...). Hanno solo bisogno di spazio per esprimere questa loro libertà e la rivista vorrebbe contribuire a dare loro questo spazio vitale.»

Quali sono state le reazioni in Libano a un’iniziativa tanto coraggiosa, ma che da certi ambienti potrebbe essere vissuta addirittura come una sfida? So che insulti e minacce non si sono fatti aspettare.
«Non si può parlare ancora di reazioni vere e concrete, siccome il primo numero non è uscito e c’è stato solo l’annuncio della nascita del progetto su alcuni periodici e giornali. Comunque, già con il solo annuncio, la rivista ha suscitato uno tsunami di commenti. Certo, come dici, ci sono stati insulti di ogni tipo, o minacce di persone scandalizzate, che non potevano capire i motivi di un’iniziativa come questa. Ma devo dire che ci sono state anche tante reazioni di appoggio e di splendido entusiasmo. E questo è normale. Il mondo ha bisogno di fare rumore, ma noi dobbiamo continuare a camminare lo stesso. La mia carriera finora non è stata delle più facili, per tante scelte che ho fatto nella mia scrittura e nella mia vita, ma anche perché sono nata in questa zona maledetta del mondo, dove le faccende più semplici possono rivelarsi a volte una “mission impossible”. Insomma, sono ormai abituata: la carovana passa, dice un vecchio proverbio arabo, e i cani abbaiano, e ammetto che io adoro combattere. La vita è anche un incontro di boxe. D’altra parte, l’unanimità mi fa orrore. La considero un segno allarmante e inquietante.»

In Italia, come nel mondo arabo, l’influenza delle religioni e delle loro ’morali’ è sempre più evidente, a volte addirittura asfissiante. Come mai, a suo parere, un fenomeno del genere, che a volte assume aspetti ’medievali’, sta invadendo con arroganza territori che prima erano riservati alla cultura laica? E’ di nuovo il tempo di censurare Sade e Galileo, a Beirut come a Roma, a Parigi come al Cairo?
«Non pretendo di avere delle risposte. Ma guardo intorno a me, e sento dentro una grande rabbia. Penso che siamo tutti responsabili e probabilmente il fatto di non assumerci ognuno la propria responsabilità fa peggiorare la situazione. Ognuno vede nell’altro il demonio assoluto, e gli attribuisce tutti i torti. Ma sono convinta di una cosa: la nostra salvezza, se salvezza c’è, (anche se non mi piace questa parola, e la sto utilizzando solo nel suo significato letterale), risiede nei valori illuministi, tolleranti e laici del continente europeo, di queste culture vostre, basate sulla libertà, sul rispetto dell’altro, sui diritti umani. Vedere questi valori sparire poco a poco proprio in certe parti d’Europa mi terrorizza.»

L’intervista è finita, Joumana si alza e apre una delle finestre che danno sul mare, per lasciar uscire il fumo delle mie troppe sigarette e del suo sigaro, poi si gira verso di me e, congedandomi, mi sussurra, sorridendo con amarezza, quasi fosse un regalo privato, quelli che sembrano proprio i versi di una sua poesia, composti lì per lì, nati da soli, per l’urgenza di capire, di scavare, di smascherare la vita e il destino, di mettere all’angolo lo spazio e il tempo, di trarre a riva, in salvo, un’ultima speranza: «Dimmi, Voce, quante grida occorrono per risvegliare una testa mozzata?».

Joumana Haddad

Libanese, responsabile delle pagine culturali del più importante quotidiano del suo paese, An Nahar, amministratrice dell’IPAF, la sezione araba del prestigioso Booker Prize, poetessa e narratrice, tradotta in molte lingue, vincitrice nel 2006 dell’Arab Press Prize, traduttrice raffinatissima e poliglotta, Joumana Haddad (Beirut 1970) è conosciuta dal pubblico italiano soprattutto per la sua partecipazione a numerosi Festival e per essere stata l’autrice di una serie di corrispondenze per il Corriere della Sera, durante l’ultima guerra tra Israele e Libano, nel 2006, tra cui una fiera, tagliente, indimenticabile, lettera ad Amos Oz. Non a caso le due recenti raccolte dedicate dagli Oscar Mondadori alla scrittura araba femminile contemporanea in versi e prosa si aprono entrambe con suoi scritti ed una, proprio da un suo verso, Non ho peccato abbastanza, trae il suo titolo.
www.joumanahaddad.com

Jasad Magazine

Jasad è un trimestrale di cultura ed arte dedicato al corpo che uscirà in Libano ai primi di ottobre. Nel sommario del suo primo numero, oltre ai contributi creativi in versi e prosa di molti importanti scrittori di lingua araba provenienti da 10 paesi, Libano, Siria, Iraq, Giordania, Palestina, Marocco, Tunisia, Egitto, Libia, e Arabia Saudita, come, tra gli altri, Tahar ben Jelloun, trovano spazio inchieste e saggi dedicati all’industria del cinema porno e all’orgasmo ‘meccanico’, alla condizione degli omosessuali in Libano, un’intervista a C. Millet, uno studio sul rapporto tra imene e mito, disegni, immagini e fumetti erotici.
www.jasadmag.com

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1 Messaggio

  • La verità del corpo - Intervista a Joumana Haddad 8 settembre 2011 00:17, di ROSSELLA CUTRARO

    CONOSCERE I PENSIERI DI JOUMANA È STATO RASSICURANTE: UNA VOCE POTENTE UNA SPERANZA UNO SPIRAGLIO DI GRANDE UMANITÀ UNA POSSIBILITÀ UNA SCELTA CHIARA UN TAMBURO UN RICHIAMO UN INCONTRO PER UOMINI E DONNE DI BUONA VOLONTÀ ... ANCHE LA CERTEZZA DI NON ESSERE ISOLATE DENTRO PENSIERI IMPROBABILI ...

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