Nuove culture, tra riviste e ’clubbing’

14 febbraio 2005 Articoli e recensioni
Nuove culture, tra riviste e ’clubbing’

La questione è di quelle nodali: risolvendola molte tessere andrebbero al loro posto, l’orizzonte potrebbe forse delinearsi più chiaro al nostro sguardo. Esistono davvero delle nuove culture alternative e, se sì, quali sono le loro caratteristiche, i luoghi del loro esplicarsi e diffondersi, i media maggiormente coinvolti nella loro comunicazione? A guardarsi intorno si rischia, però, di restare disorientati e non solo per la quantità di esperienze eterogenee che si incontrano, ma anche per l’estrema varietà di luoghi e stili coinvolti.
L’idea è stata allora quella di mettere a confronto due vicende apparentemente lontanissime, quella di un music club d’avanguardia come il Maffia di Reggio Emilia, da anni cuore pulsante di molto di quello che in Italia accade a livello di sperimentazioni musicali e clubbing, porta attraverso la quale arriva da noi molto del meglio delle produzioni internazionali, e una giovane rivista di cultura e letteratura, Sud, che nasce a Napoli grazie al coraggio del piccolo editore Dante&Descartes, quasi con prepotenza, proprio in un momento nel quale sembrerebbe che spazio per esperienze del genere non ve ne sia più e che comunque esse non potrebbero essere il luogo del nuovo. Sud dimostra l’esatto contrario e riesce, quasi con nonchalance, a riunire, intorno a un manipolo di giovani redattori a cavallo tra Napoli e Parigi, nomi importanti (Kundera, Altan, Camilleri, Ghirelli) e intellettuali emergenti, facendo risorgere - quasi per miracolo - il dialogo nel cuore arido dell’editoria letteraria italiana. Mettere insieme il direttore di Sud, Francesco Forlani, e uno dei fondatori del Maffia, Federico Amico, significa, insomma, farsi mallevadori dell’incontro tra il dinosauro e il digitale, tra l’Emilia agiata, ex-comunista, e la Napoli ex-monarchica e profondamente povera. Proprio per questo, però, incrociare i loro sguardi e le loro letture del mondo può essere prezioso nel disegnare la carta delle terre e dei mari delle nuove culture alternative, cancellando, almeno in parte, l’hic sunt leones…
A partire dal cuore del problema: credete che sia possibile, oggi, parlare di nuove culture alternative e, se sì, quali sono le loro caratteristiche? «Penso, piuttosto, sia più corretto parlare di molte culture differenziate - sostiene Federico Amico - tra queste quella che maggiormente ci affascina è quella legata a un immaginario elettronico metropolitano, capace di tenere assieme molti aspetti che vanno dalla multicultura, alla produzione tecnologica, alla facoltà di accesso a sistemi espressivi fino a ieri non così disponibili ai più. Più che di culture alternative è il caso di parlare di culture aperte alle urgenze di chi vuole animare culturalmente la propria comunità.» Anche per Forlani è decisiva la questione dell’accesso e la diffusione reticolare, rizomatica di queste nuove esperienze: « Qualche anno fa su Nova magazine uscì un numero speciale sull’underground. Nell’intervista che mi fecero parlai dell’open source. Underground è questa idea di un patrimonio comune a cui tutti possono attingere, e che si arricchisce degli interventi di ciascuno. Come per Linux, di Torwald. Quelle sono partite che si possono vincere, a tavolino. Sono i caffè letterari di quartiere, i gruppi che spaziano da territorio a mondo. Altro che i festival di letteratura! Movimenti vitalistici e spontanei, come lo slam alle origini. Oralità. Il problema oggi è che non esiste, non è visibile, il nemico, un sistema che sia estetico, o ideologico, rispetto a cui essere alternativi. Perché si è sempre alternativi a qualcosa. Anch’io vorrei far parte degli alter-mondialisti , quelli che dicono "un altro mondo è possibile". Il punto è che magari esistesse un mondo! Il mio slogan sarebbe "un mondo è possibile", anzi direi di più, necessario».
Quanto può essere importante in un quadro del genere, il problema del rifiuto del copyright, o comunque di una sua differente modulazione? « I dibattiti su copyleft, common creatives, etc., ci affascinano molto - sottolinea Amico - crediamo che quella effettivamente sia la direzione in cui si debba procedere. Amo il motto dei bolognesi Wu Ming: "Omnia sunt communia", da applicarsi certamente sul piano letterario, ma soprattutto, attingendo a mille e più campionature, alla musica elettronica. E’ evidente che nel tentativo di costruire anche una possibile comunità, il favorire la libera circolazione dei prodotti intellettuali è un punto centrale». « Bisogna incoraggiare la circolazione delle idee - rilancia Forlani da Parigi, dove vive - pubblicare pezzi da rivista a rivista, creare ponti». Ma la situazione in Francia, gli chiedo allora, com’è? Procediamo appaiati, o siamo piuttosto dispersi lungo cammini differenti? Insomma: esiste una ’globalizzazione’ delle nuove culture alternative, o sono piuttosto una costellazione di soggettività ed utopie, differenziate anche geograficamente? « In Italia c’è una coscienza maggiore delle cose, un’intellettualità diffusa, direbbe Negri, impressionante. Ma nello stesso tempo si lavora in nicchie. Lo chiamo nicchilismo, così, con due c. Pensa ad un sito come Carmilla. Geniale! In Francia te lo sogni. Solo che in Italia resta per gli addetti ai lavori. Sono energie da prima serata, come lo fu la Rai di Guglielmi. Ma Parigi (sospiro!). E anche Londra. Sono città che presentano delle opportunità straordinarie, incontri inattesi che possono cambiarti anche la vita. C’è meno "prise de tête", più ascolto ed un’offerta culturale autentica. Perfino le cose italiane che vengono qui sono più interessanti. Penso a un film come "Respiro" o a certi musicisti come Raoul Colosimo e Sacha Riccio. Per non parlare della pittura o delle arti multimediali.»
E voi, che dal Maffia guardate a ciò che avviene nel mondo dell’elettronica, c’è qualcosa di davvero nuovo nelle sperimentazioni che si producono, o siamo piuttosto in un momento di passaggio, se non di stanca? « Non ci sembra che il nuovo sia alla porta, negli anni passati c’è stata una specie di sbornia della novità. Crediamo invece che, grazie alle strumentazioni tecnologiche oggi diventate di uso davvero quotidiano, e non più magico o sciamanico, si stia approfondendo la ricerca delle modalità espressive. Dopo esser stati entusiasti del giochino nuovo, stiamo finalmente vedendo nella loro interezza le infinite possibilità che abbiamo davanti, senza però farci macchinolatri». La strada, mi sembra di capire, passa comunque dal cross-over tra varie discipline, arti e culture diverse… «Certamente. Credo che oggi i segnali culturali siano trasmessi contemporaneamente su più piani, agire in quell’ambito, ovvero mettendo assieme molte lingue e molte espressioni, è un ottimo modo di rappresentare il mondo in cui viviamo. Una specie di stereoscopia sensoriale attraverso cui portare in emersione sia la cacofonia che il senso.»
Vorrei tornare alla vostra specifica esperienza di produttori di cultura, e chiedere a Forlani: fondare una rivista di cultura oggi può sembrare una scommessa azzardata, sia perché il nostro non sembra più un tempo di dibattito culturale, sia perché si tratta di un prodotto cartaceo, in un’era digitale. Qual è il senso del progetto Sud, quali i suoi obiettivi, come è riuscito a sedimentare attorno a sé tanti prestigiosi collaboratori ? « Della metafora della scommessa manterrei quella sua dimensione del gioco. Le scommesse si vincono o si perdono, al gioco no, si gioca e basta. In fondo Sud, rivista che ho avuto l’onore e la fortuna di immaginare, e cioè di riprendere dalla sua storia originaria voluta e realizzata da Pasquale Prunas nel dopoguerra, è il nome, ma soprattutto il progetto, attorno al quale una serie di gruppi, autori, tendenze più o meno sperimentali, si raccoglie ora. Ieri quel progetto si chiamava Paso Doble, Atelier du Roman, a Parigi, Baldus e Akusma in Italia. Le riviste si fanno a carte scoperte. Il mio sogno è che sorga in quel di Milano un nuovo Politecnico, sulla falsa riga della grande rivista di Vittorini. Bisogna misurarsi con quella generazione. In Sud ci sono persone come Milan Kundera, Antonio Ghirelli, o lo stesso Camilleri che vengono da lì. Che a questi si possano accompagnare un giovane filosofo come Mario Bernardi, o Francesca Spinelli, traduttrice, che hanno poco più che vent’anni, mi sembra importante. Sperimentare è anche questo: mettere le carte sul tavolo.» Sud nasce a Napoli, è Napoli. Quanto di nuovo e resistente cresce e si muove in una città in Guerra Camorristica Permanente? « Su questo numero abbiamo pubblicato un pezzo di Roberto Saviano sugli stipendi degli affiliati alla camorra, che è un vero capolavoro. Non ci sono mediazioni possibili. Quelli sono assassini e basta. E le signore con le panze che difendono gli assassini mi fanno schifo. Preferisco quell’altra immagine di popolo offerta dalle mamme coraggio. Eroine contro l’eroina, vestite a lutto e forti come le mamme cilene o argentine dei desaparecidos. Certi aspetti del popolo del sud sono odiosi, almeno quanto quelli della borghesia che a Napoli dorme, e male. Una bella risposta letteraria è in questa corrente che rappresentano autori come Franchini o Montesano. Il nostro caporedattore Giampaolo Graziano è di Aversa . Secondo me le cose più interessanti a Napoli nascono in provincia. Dove l’emergenza è nel territorio, ne fa parte».
Anche il Maffia è un posto dove si mettono molte carte scoperte sul tavolo: è un club, non una discoteca e tra disco e club c’è una distanza oceanica, quella che separa la disgregazione dalla ri-aggregazione sociale. Quanto è possibile oggi conciliare intrattenimento e sperimentazione artistica e culturale? « Come si diceva all’inizio, crediamo che l’azione culturale debba tenere conto delle urgenze poste dalla comunità in cui si svolge. Il club, in questo senso, ci è da sempre sembrato un’ottima risposta perché queste urgenze potessero trovare spazio, anche in senso democratico. Anche nel terzo numero di Clubspotting, la pubblicazione che dedichiamo periodicamente all’approfondimento di queste tematiche e che sta per essere editato, l’idea è di sottolineare come dal club si siano effettivamente messe in atto pratiche di creazione culturale che travalicano i confini fisici del luogo stesso, soprattutto grazie alla volontà di mettersi in gioco collettivamente attraverso l’interazione di differenti strumenti, ognuno dei quali richiede competenze specifiche. Il principio continua a essere quello dell’ibrido, del contaminato, lontano dal compartimento stagno della stretta disciplina, intersecantesi con l’altro da sé, nella convinzione che quella sia tra le migliori modalità di rappresentare il contemporaneo. L’aspetto musicale continua ad essere il motore principale attorno al quale far confluire attenzione, ma questo, oltre ad essere un pretesto molte volte, insiste su differenti esperienze che non hanno chiaramente la medesima storia. Non si tratta quindi di far convivere semplicemente i vari differenti aspetti, ma richiamare alla contaminazione, all’ibridazione tutti i partecipanti, attori o pubblico che siano, e conseguentemente ricostituire attorno a degli oggetti passionali (musica, arte, fotografia, testo) un nuova comunità, una nuova aggregazione fuori dal proprio appartamento, dalla propria casetta, lontano dal piccolo schermo, dialogante e propositiva.»

Altro in Articoli e recensioni

1 Messaggio

Altro in Teoria e critica