Il Progetto Fast Blood di Federico Vacalebre

21 dicembre 2004 05. Fast Blood
Il Progetto <i>Fast Blood</i> di Federico Vacalebre

Qualcuno, esagerando e comunque sviando l’ascoltatore, l’ha definito il Bono Vox della poesia italiana. Jovanotti ha parlato dei suoi versi-rap come anelli di fumo che durano più a lungo. «Lello Voce è il migliore poeta che oggi c’è in Italia», ha sentenziato Nanni Balestrini, mentre Aldo Nove eleggeva il poeta-scrittore-performer napoletano a Voce della denuncia sociale al tempo del grande freddo.
«Fastblood» arriva a confondere ulteriormente le idee, operazione di branding letterario, ovvero disco più spettacolo multimediale più romanzo (che ancora non c’è).
Su disco Voce (www.lellovoce.it) srotola i suoi talking jazz postmetropolitani e li immerge nei suoni post-elettronici di Frank Nemola (già con Vasco Rossi), tappeto su cui s’agitano il sax soprano di Luigi Cinque, la tromba di Paolo Fresu (nella foto), il flicorno di Michael Gross, la viola di Luca Anzò. I versi perversi del poeta-agent provocateur sono schegge che si conficcano in ferite aperte, progetti di scarnificazione che mettonoa nudo blues e fantasmi inutilmente nascosti. «Spoken words» che sanno farsi militanti, fornire un megafono d’arte alla generazione no global, ma sfuggendo all’innologia integralista, evitando il gregge e azzardando l’instaurazione di una taz (temporary autonome zone), «luogo del comunicare e del comprendere, luogo della fondazione del pensiero nella voce e della voce del pensiero».
Giochi di parole a parte, è un bel sentire, per le orecchie e il cuore: «Oltrettutto non ero lì e anche se c’ero oltretutto non avevo sogni, idee bisogni ero in lutto».

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