Il popolo dei limoni di Lello Voce

27 febbraio 2004 02. Piazza Alimonda - Solo Limoni
<i>Il popolo dei limoni</i> di Lello Voce

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Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed é l’odore dei limoni.

Eugenio Montale

Abbiamo scelto di parlare di limoni. Abbiamo scelto un approccio sghembo, un punto di vista apparentemente slogato e slegato dal ferro, dal fuoco, dal fumo, dal sangue di Genova e se abbiamo scelto di parlare d’altro è stato perché fosse chiaro che era proprio di Genova che volevamo parlare, è stato perché non volevamo cadere nella trappola vetero-ideologica del presunto impegno che mortifica la forma e fa ammalare d’elefantiasi i contenuti, poiché Genova è stato qualcosa che ha travolto tanto i contenuti quanto le forme del nostro pensare, del nostro agire, del nostro immaginare, del nostro assentire o del nostro ribellarci. Un attimo prima che tutto fosse definitivamente sepolto dalla polvere delle Twin Towers.
Abbiamo scelto lo spostamento laterale, metonimico, per sottrarci al disinganno di chi credeva che Genova fosse solo l’inizio, mentre oggi essa si rivela la fine di un certo modo, di un certo mondo e dunque, ovviamente, il principio di un inizio davvero nuovo, stupefacente, terribile, imprevedibile e inevitabile. Abbiamo scelto di parlare di limoni perché non volevamo firmare manifesti, ma piuttosto risentire, tra gli occhi e il palato, il sapore e l’odore del succo d’agrumi che ci seccava le lacrime e dava sollievo alle pupille accecate dai gas e che era lo stesso che nelle notti estive profumava il nostro cibo, il nostro amore e il dolore quieto che sempre ci accompagna. E comunicarlo.
L’abbiamo scelto perché tutto è successo proprio a luglio che è il mese dei limoni... Perché i limoni sono di Genova, come è di Genova Montale e come i limoni sono di Montale. E perché Genova e i suoi limoni, unica arma stretta tra le mani di decine di migliaia di miti e inflessibili che sfilavano, sono stati un attimo di Storia, con tutto il suo portato di sogni, errori, orrori. Un attimo giallo e lucente, aspro, doloroso e odoroso, ruvido e vivo che ancora oggi scintilla nella memoria di chi c’era, oltre il fumo della violenza, le grida, i massacri, l’arroganza bieca e scura del potere. Perché ogni limone sa di sole. Perché ogni limone, come ogni uomo, è parte di quel mondo a tutti dato in uso e a nessuno in proprietà, come chiosava Lucrezio, già secoli e secoli fa. Perché ogni limone che ci scintillava tra le dita abbagliava d’utopia solare le maschere notturne di chi ha picchiato e perseguitato, di chi ha distrutto, di chi ha ucciso, inseguendolo carrugio per carrugio, oltre le reti e la proibizione, a piè pari al di là dello spazio interdetto dal potere del Pensiero Unico e della Ragione Economica. Perché, anche se non c’erano agrumi a dissetare la sete e l’arsura di tutti gli innocenti, colpevoli loro malgrado, sepolti dalla povere delle Torri di Babele, noi sappiamo bene che seimila morti in più non alleviano il dolore di una sola vittima e perché ricordarne seimila non ci farà dimenticare quell’uno. Perché siamo certi che non è d’eroi che abbiamo bisogno, ma di limoni.

Non tutti tra noi c’erano, alcuni per scelta, altri per impossibilità, ma questo non conta: è Genova che è stata da noi, da tutti noi, ha invaso le nostre case con fiumi di violenza che annegava sogni, con tempeste di sangue che sradicavano speranze, con tifoni di rabbia e paura in diretta TV. Nessuno ha potuto fare a meno di essere a Genova in quei giorni di luglio. Chi non era tra Via Tolemaide e Piazza Alimonda era comunque lì, con l’orecchio alla radio, o l’occhio fisso alla luminescenza catodica che trasformava l’energia e i corpi nei pixel spettacolari di immagini né vere né false.
Né tutti ne hanno parlato direttamente nei testi che seguono. Né di Genova, né dei limoni. Ma è a loro che pensavano, era al Popolo dei Limoni in marcia verso le reti, ai loro corpi di polpa gialla e succosa maciullati dai manganelli, frullati dalla menzogna pilatesca della ’legittima difesa’ condita dalle ’superiori necessità dell’Ordine Pubblico’ sventolate dai professionisti del Disordine e della Bugia. Mentre su tutto, beffardo, si alzava, invincibile, inarrestabile l’odore dei limoni, il profumo dell’Utopia.
E abbiamo voluto essere insieme oltre divisioni di stile e di pensiero o di ’ideologia’, stretti attorno a questo nostro: ou citrons, ou barbarie! Insieme tutti, più anziani, giovani, mezzani, come erano anziani, giovani e mezzani quelli che erano a Genova a luglio. Perché i limoni non hanno ismi, né scuole, né manifesti.
I limoni hanno fusto snello, radici fonde, rami forti e frutti gialli come il sole. I limoni hanno dentro succo di speranza e nostalgia di futuro a spicchi.
Sono gli occhi dei poveri e dei perseguitati e la loro scorza scabra è il palmo delle loro mani che, cogliendoli, scopre l’orgoglio e la dignità della ribellione.

Altro in Piazza Alimonda - Solo Limoni

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