Una lettera inedita di Franco Fortini a Lello Voce su (Musa!)

8 gennaio 2004 08. (Musa!)
Una lettera inedita di Franco Fortini a Lello Voce su <i>(Musa!)</i>

Si tratta di una lettera del 1991, che faceva seguito a una serie di polemiche tra Fortini e il Gruppo 93, a cui io avevo partecipato con una serie di interventi che avevo accluso alla copia del libro con audio-cassetta (Musa!) che inviai a Fortini.
In risposta a quel mio pacchetto, dopo circa un mese, mi giunse questa lettera, che viene qui resa pubblica per la prima volta.
A questo primo scambio epistolare, fecero poi seguito alcuni interventi pubblici di Fortini, su l’Unità, ad esempio, o su L’Asino d’Oro, periodico letterario diretto da Remo Ceserani - a proposito del testo e degli stessi argomenti trattati nell’invio privato.

Milano, domenica 24 novembre 1991

Caro Voce, ho finito ora, ore 1.40 di notte, di ascoltare il suo "(Musa!"). Jeri avevo letto il testo. Una impressione molto forte, una emozione e una certezza. Le sono riconoscente, era molto tempo che non provavo qualcosa del genere. Dico: dell’effetto drammatico della dizione (ottima la recitazione) che fa di quel nastro qualcosa che certo dovrà scuotere e commuovere. Non so chi siano i recitanti: ma sono ottimi. *[Mi è stato detto a Siena, dove sono stato la scorsa settimana (riprendo a scrivere oggi mercoledì 4 dicembre) che la voce è di uno solo, cioè la sua. Meglio.] Sono certo che il testo va detto, detto così. Non so se le farà piacere sapere che la lettura della pagina non mi induceva un uguale consenso. Tutte le riserve che lei conosce - riserve di principio e riserve di fatto, di cui mi pare ora inutile parlare - e che mantengo nei confronti del testo scritto, cedono di fronte al senso della dizione. Glielo dico perché lei immagina quanto io sia, per educazione contrario alla ’esecuzione’ teatrale dei testi poetici. Ma nel suo caso è irrespingibile la qualità del risultato complessivo. La durata, le citazioni, i singoli frammenti di contenuti, il ’messaggio’ d’insieme: tutto questo va perfettamente ’a posto’ nella dizione, che chiarisce quel che forse nel testo non è sufficientemente esplicito. I piani diversi nel testo scritto non sono così evidenti come in quello recitato. Quello recitato li afferma e li rende transitivi. Mi chiedo tuttavia che senso abbia la divisione in ’versi’. La scansione non ’inarca’ anzi segue un suo criterio di ’esecuzione’ del monologo.
Luperini spiega in che cosa il suo lavoro si distingua sia dalle neoavanguardie italiane ’storiche’ sia dai postmoderni. Non sono del tutto d’accordo ma non importa. Mi chiedo però che effetto farebbe il tutto se le citazioni non fossero composte come tali e come tali almeno in parte riconoscibili da gente che abbia la maturità classica. E’ vero che ogni poesia è di secondo grado ma è determinante - non della qualità ma del significato - la scelta del modo di proporre quel secondo grado (dal finto ingenuo al finto terribilista eccetera). Tutte le mie obiezioni di principio riguardano un punto ’politico’: a quale "inconscio politico" e a quale immagine di risarcimento-del-mondo rimanda quel modo (suo e di altri) di proporre i contenuti? Credo di avere una qualche idea della risposta. E la risposta mi suona come qualcosa che conosco bene perché è la voce della frantumazione e reificazione ’caotica’ che da un secolo e mezzo, eccetera eccetera.
Ma non dia importanza a queste mie parole, come non ne dò alle polemiche che mi toccano nelle pubblicazioni che mi ha mandato. Proprio non ci riesco. E se lo crede utile mi scriva. ma non la prego, con quel tòno ufficiale e iperbeneducato che suona, per essere chiari, come una presa per i fondelli!
Grazie ancora dal suo
Franco Fortini

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