[Legaville 40] La democrazia e il voto

1 settembre 2007 Politica e movimenti
[Legaville 40] La democrazia e il voto

Il Vice presidente della Regione, Zaia, che è garbato politico ed uomo di cultura, certamente ricorda che nelle civiltà classiche, in Grecia, per esempio, il diritto di voto si conquistava dal momento in cui si prestava il servizio militare. Sembra strano, eppure, da un certo punto di vista, l’allargamento della base elettorale nelle ‘democrazie’ antiche, andava di pari passo con il rafforzamento dell’esercito e con la fame espansionistica delle poleis. D’altra parte, perché stupirsi? In fondo, in quelle società antiche, far la guerra era uno dei lavori principali richiesti al cittadino. Altri tempi, certamente. Ora, nelle nostre società occidue, felicemente post-illuministe, integralmente liberiste, assolutamente ‘di mercato’, nemmeno esiste più la leva obbligatoria. La guerra è diventata una specializzazione lavorativa come un’altra (magari sotto l’ambigua forma del ‘contractor’), un servizio tra i tanti, poiché le nostre sono società fondate sul lavoro, come recita la Costituzione italiana, fosse pure quello dei militari. Perché racconto questa storia? Per dimostrare che cinque anni di onesto lavoro, cinque anni passati a produrre ricchezza, a far sacrifici, a pagar tasse, a remare come tutti gli altri, sono, a mio parere, più che sufficienti a garantire a qualsiasi uomo, di qualsiasi razza, o colore, e in qualsiasi nazione egli si trovi, il diritto di votare per decidere chi dovrà essere ad amministrare il territorio dove svolge, con onestà, il suo lavoro. E’ il lavoro, gentile Vice Presidente, l’unica discriminante che garantisce nelle società civili il diritto di votare anche a chi in quella nazione non è nato. Io non so per chi voterebbero quei 60.000 immigrati, il riconoscimento dei cui diritti lei paventa come un grave attacco all’identità veneta. Le dirò di più: non mi interessa, votassero pure in massa tutti per lei. Il ‘permissivismo’ e il ‘buonismo’, mi creda, non c’entrano nulla. C’entrano la democrazia e la civiltà, così come ce le hanno consegnate tra le mani la Rivoluzione francese e, per quanto ci riguarda, tanto in Italia quanto in Padania, la Resistenza al nazi-fascismo. Come faranno poi questi poveri immigrati a prendere, come lei pretende, l’iniziativa? Cosa dovrebbero fare? Trasformarsi in felici Zio Tom (o Zio Vasilji, o zio Abdul)? Mi perdoni, ma le sue mi sembrano tesi garbatamente xenofobe.

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